Wednesday 17 December 2014

ALCHEMICAL COWBOY



Asterione, 1978, bronzo, 74x62x8 cm

Noi siamo come trogloditi che abitano le macerie della civiltà che li ha preceduti. Con queste macerie abbiamo fondato la nostra realtà ma, incapaci di apprezzarne il senso e la profonda bellezza, abbiamo fatto di templi e palazzi, capanne e tuguri. La cataclismica eruzione di Santorini offusca di cenere e lava l'antico splendore. Teseo uccidendo il Minotauro, ultimo sapiente della scienza Egea, recide quel filo d'Arianna che ancora avrebbe potuto guidarci tra i meandri di quel sapere labirintico. Quella grandiosa visione del cosmo col suo magistrale chiaroscuro di vita e di morte è perduta, come perduta è la possibilità di sperimentarne la relazione con l'uomo. Al suo posto subentra una violenta, abbacinante luce che sembra voler negare l'animalità dell'uomo e la morte come parti essenziali di quell'affresco. Luce innaturale quindi, come innaturale è la parossistica messa a fuoco sul soggetto, così precisa e tagliente che il mondo attorno sbiadisce e quasi scompare. L'uomo si staglia ora sfolgorante, splendido e solo. La civiltà che ne deriva non è fondata sull'anima, né sul cosmo al quale l'anima misteriosamente ci lega. Anche il centro del sacro, il tempio, pur essendo ancora aperto al mondo, non è più l'aperto. La scienza dell'anima e dei suoi complessi rapporti con la carnalità viene relegata nei misteri e mentre la ragione comincia ad imporsi, cresce anche la sua arroganza. Ma l'anima non è tuttavia riducibile a formula o cifra e non è neppure esorcizzabile dal pensiero, tantomeno dal pensiero dogmatico. Oltretutto, senza di essa, nessuna poetica sarebbe possibile. La vita dell'uomo sarebbe priva di quella fondamentale qualità che la fa tale. Già l'uomo!
Questo strano animale che nasce immaturo come Dioniso, ma, che con infinita pena può, attraverso una seconda nascita, come Dioniso, conquistare quella maturità che è dimorare poeticamente nell'essere. Di questo fu consapevole la sapienza Egea, che divenne tale proprio perché fondata e strutturata in funzione di quel divenire. Ciò che è rimasto della loro arte ce lo dimostra. La sofisticata strategia operativa messa in atto per giungere alla seconda nascita, si basava probabilmente su due capisaldi: l'entelechia, ovvero come diventare ciò che si è, e l'osare oltre sé stessi. Signora dell'entelechia doveva essere l'anima, Psiche, Arianna o in qualsiasi altro modo venisse chiamata, mentre a Dioniso doveva far riferimento l'osare oltre se stessi. Questi due principi procedevano affiancati come cavalli a pariglia, ognuno di indirizzo, pungolo e contenimento all'altro. Certo qualcuno fra i Greci dovette essere consapevole della loro importanza se la propaganda ateniese disse che Teseo, oltre ad uccidere il Minotauro, aveva rapito Arianna.
Ma l'anima non può essere rapita, né la si può raggirare. L'anima da sé si dona e solo dopo essere stata conquistata da un cuore appassionato. Lo stesso Apollo non avrebbe potuto impadronirsene, oltretutto l'arco è poco adatto ad una preda così mobile ed elusiva. Dioniso, più esperto in materia, avrebbe certo usato la rete. In ogni caso quell'armonia andò perduta anche se l'anima, sgorgando come una fontana, dai misteri irrorò la civiltà greca, provocando quella gloriosa fioritura che é stata la sua arte. L'acqua di quella fontana, più o meno copiosamente, attraverso i secoli non ha mai smesso di fluire; solo ora sembra essere insabbiata.


Senza titolo, 1999, carboncino su carta

Soltanto poche gocce sono rimaste per noi e noi siamo il deserto. Forse a noi «moderni» è toccato in sorte di sperimentare la morte dell'anima.
Ma io credo che ci troviamo piuttosto in una fase di occultamento. Quell'occultamento che, iniziato con l'eruzione di Santorini, sembra ora essere entrato nella fase di massimo oscuramento.
Le conseguenze sono evidenti: ci troviamo in un territorio che non più irrigato è divenuto una landa di desolazione. Seguendo miraggi, sospetto provocati dall'anima stessa, ci siamo spinti ben dentro un deserto senza fine e il trasformarci in cammelli non ci sarà di nessun aiuto. Mi sembra anzi che per secoli siamo stati come cammelli e abbiamo portato pesi non nostri, inconsapevoli che l'altra faccia dell'eroe è il capro espiatorio. Qualcuno ha detto «Se non diventerete prima come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli», invece io ho dovuto diventare stoccafisso per ricontattare il cosmo.
In ogni caso, noi che abbiamo disintegrato le fedi, dobbiamo ora confidare nell'ignoto e permanere intrepidi in questo stato di latenza, senza cercare di forzarne la conclusione. Il deserto che ci ha dissecati, come stoccafissi appunto, ci sta rendendo anche più esigenti e non credo ci accontenteremo più di qualche sorso d'acqua. Non affrettare la conclusione, dicevo, e non tentare scorciatoie che, peraltro, nel deserto non esistono. Ottima idea sarebbe non perdere di vista Dioniso, la cui ruggente animalità ci aiuterà a non rimanere attardati in astrazioni e spiritualismi. L'anima infatti non ama i sognatori, preferisce i cowboys dei quali, da sempre, ricerca la compagnia. A partire dal primo, quel Minotauro chiamato Asterione, con il quale costituiva una coppia così interessante per noi «moderni». Interessante e veramente speciale perché i due NON ERANO DEI!


Santorini, 2000, olio su tela, 300x200 cm

La religione infatti non esisteva. Arianna ed il suo cowboy si dilettavano piuttosto nello sperimentare in forme inaudite il cosmo e sé nel cosmo, chissà con quale splendore. Certo che quando se ne sono andati è rimasto un gran vuoto, anche se ci hanno lasciato come dono l'arte. Arte che è una bussola, il cui polo magnetico è lo splendore emanato dall'essere nello stato di libertà. Non importa ciò che ne dice Piatone, costretto ad accusarla proprio di quei deliri che appartengono invece all'astratto idealismo del suo sistema. Uno strumento davvero prezioso per orientarci verso quel compimento che la stessa arte, con la sua evidenza, testimonia essere possibile. Cos'è infatti l'arte se non materia molto comune e banale trasformata in oro poetico? Certo questa trasmutazione non è priva di rischi e il viaggio lungo e pieno di insidie ma quale fascino per quegli avventurosi che si sentono claustrofobici nell'angusta, anche se comoda, realtà che ci siamo costruiti. Sì, dall'ignoto ci chiama il nostro destino e gli audaci si addentreranno nel mistero di quel cosmo che non è un gelido capolavoro di orologeria, ma l'incanto di un cuore ardente e quel cuore coincide col nostro cuore. Coraggio dunque, perché se a Santorini un ciclo di evidenza ha trovato il suo compimento in un occultamento, un'altra Santorini segnerà il giro di boa verso quello svelamento che della fase occulta deve essere la meta.
Io credo che questa dialettica occulto-svelato, sia uno strumento con cui l'anima esercita la sua funzione maieutica, attirandoci e guidandoci, attraverso una serie di prove e passaggi estremamente tortuosi, oltre le secche di necessità e determinismo, verso la libertà di quell'aperto che dovrebbe essere, come possibilità, nel nostro destino.

Estate 2000
Athos Ongaro



Senza titolo, 2006, olio su tela, 200x200 cm
ENGLISH
We are like troglodytes, dwelling in the ruins of the preceding civilization, incapable of appreciating the sense and profound beauty. We founded our reality on rubble, transforming temples and palaces into shacks and hovels. Ancient splendors were obscured and tarnished by the lava and ashes in the cataclysmic eruption of Santorini. Theseus, by killing the Minotaur, the last Aegean sage, cut Ariadne's thread, thereby interrupting our path to ancient labyrinthine knowledge. That grand vision of the cosmos, with its masterful chiaroscuro of life and death, is lost, and with it man's potential to experience himself in relation to this cosmos. In place of this vision is a blinding, dazzling light, which seems to deny the feral side of man and death as essential elements in the picture. This unnatural light is as unnatural as the focus on the subject - so precise and cutting, that the world around fades and almost disappears. Man cuts himself out of the picture, splendid and alone. The civilization derived from this situation is not founded on the soul, nor on the cosmos to which the soul misteriously tied us. The temple, centre of the holy, although still open to the world, is not openness. Knowledge of the soul, with it's complex relationship to carnality is confined to mysteries. Reason imposes itself and it's arrogance grows. The soul is not reducible to a formula or symbol, nor can it be obliterated by thought, even less by dogma. Without the soul, poetry is impossible, the life of mankind would be stripped of a fundamental quality. That's man! This strange animal, born immature, like Dionysus, could with endless pain, through a second birth, like Dionysus, conquer maturity, and dwell poetically "in being".


Tondo, 1990-91, bronzo, 111,5x11,5 cm

Aegean culture was founded on this search. What remains of their art testifies to this. The sophisticated strategy used to reach this second birth was based on two strongholds: first "entelechia", which means how to become what you are, and, secondly to dare to be more than oneself. Entelechia was represented by the soul, Psyche or Ariadne. Dionysus represents this "becoming more than oneself". These two principles are like chariot horses, although parallel, each incites and restrains the other. Certainly some of the Greeks appear to have been aware of their importance as the Athenean propaganda suggested that Theseus not only killed Minotaur, but kidnapped Ariadne. But the soul cannot be kidnapped or tricked. The soul by her own impulse, bestows herself only after she has been conquered by a passionate heart. Apollo himself would not be able to imprison her, moreover, the bow is not suited to a prey so mobile and elusive. Dionysus, more skilled in the matter, would have certainly used a net. In any event, that harmony was lost, even though the soul, flowing like a fountain from the mysteries, irrigated Greek civilization and caused that glorious blossoming which was their Art. The water of that fountain, in more or less abundance never stopped flowing through the centuries. Only now it seems clogged with sand. A few drops remain for us and then we are the desert. Maybe we "moderns" are destined to experience death of the soul, what a disturbing prospect! I believe however that we are in a phase of maximum conceal' ment of the soul, which began with the eruption of Santorini. The consequences are evident. We find ourselves in a land which, without irrigation, has became desolate. Urged on by mirages, which I suspect emanate from the soul, we got deep into a desert in which it would not avail us even if we could transform ourselves into camels. For centuries we have been like camels, carrying a weight that does not belong to us, unconscious that the other side of the hero is the scapegoat. Somebody said "unless you first become like children you will not enter the kingdom of heaven". For myself, I found it extremely useful, although not pleasureable, to become a dried cod, as a means to re/enter into contact with the cosmos. In any case, we, who have disintegrated every faith, should now trust the unknown, and wait bravely in this latent state, without trying to force events to a conclusion. The desert which has dessicated us like dried cod, has made us more demanding and I don't believe we would now be satisfied with few sips of water. Do not hurry the conclusion, and do not try to take short cuts, which do not exist anyway in deserts. It would be a very good plan to focus on Dionysus, whose roaring animality will help us to avoid getting bogged down in abstraction and spiritualsm. The soul doesn't love dreamers. She prefers cowboys, with whom she always looks for company, beginning with that Minotaur, Asterione, with whom she formed such an interesting couple for us moderns. Interesting and truly special because those two WERE NOT GODS!


Arpista, 2007, olio su tela, 200x140 cm  
Religion, in fact, did not exist then. Ariadne and her cowboy, delighted in experiencing, in an unheard of form, themselves and their relationship with the cosmos, who knows with what splendor! When they left, there was a vacuum, even if they left us with art as their gift. Art is a compass whose magnetic pole is the radiance which irradiates from "living" in a state of freedom. It doesn't matter what Plato says about art. He was forced, because of the abstract idealism of his system, to accuse art of being nothing more than delirium. Art is a really precious instrument to orient oneself towards maturity, and in itself proves that this achivement is possible. What indeed is art, if not common banal matter, transformed into poetical gold?
Certainly, this transmutation is not without risks, and the journey is long and full of snares. How fascinating for those adventurers who feel claustrophobic in the narrow but comfortable reality we have built for ourselves. Yes, our destiny calls from the unknown, and the audacious will enter deeply into the mystery of that cosmos, which is not like a frozen masterpiece of watchmaking, but the searched of an ardent heart, of a heart that matches our own. Let us be brave, because if in Santorini a cycle of evidence found its completion in "concealment", another Santorini will be the turning point towards "revelation". Revealing is the goal of this second phase. The darker the night, the brighter the morning. I believe that this dialectic, concealment/ revelation, is a mechanism with which the soul exercises her maieutic function, attracting and leading us through a series of extremely tortuous stages and passages, beyond the limitations of necessity and determinism, towards the freedom of openness, which should be a possibility in our destiny.

Translated by Jill Glyck

Wednesday 19 November 2014

MARCO SENALDI: SETTE DOMANDE PER ATHOS ONGARO

Santorini II, 2000, olio su tela, 190x146 cm

Senaldi: Caro Athos, quando guardo le tue opere non so proprio cosa pensare. Per prima cosa mi dico: ma perché sei passato dalla scultura alla pittura? Poi mi ridomando: ma sarai mai passato dalla scultura alla pittura – oppure hai sempre fatto pittura, e forse invece oggi fai collage di paesaggi cosmici e di personaggi dei cartoons ?

Ongaro: Ho smesso perchè ho esaurito quello che dovevo fare con la scultura e, visto che il mio lavoro se la vede con morte e rinascita, ne ho approfittato per sperimentare sia l'una che l'altra. Per spiegarmi meglio, penso che ci troviamo tra la fine della cultura classica e una nuova visione della realtà. L'inizio risale ai Trovatori e al Rinascimento italiano, ma allora la fioritura è stata bruciata da una gelata neoplatonica ed ora procediamo con cautela. La crisi del nostro Paese, lo sgretolarsi della sua cultura e la disfatta della democrazia sono sintomi della stessa morte iniziatica attraverso la quale, volontariamente, sono passato come artista. Dico morte iniziatica perchè prevede una nascita dalla morte. E' probabile che i "virtuosi" che gongolano davanti al cataclisma che ci ha investito avranno presto delle sorprese.  

Senaldi: Duchamp nelle sue Note al Grande Vetro dice da qualche parte che la quarta dimensione esiste; è come “sentire” un oggetto tridimensionale da tutti i lati contemporaneamente, “come quando si tiene un coltello in mano”. Ho letto molti commenti a questa nota, ma nessuno mai che citasse Cézanne quando dice che “bisognerebbe dipingere una mela come se la si tenesse in mano”. Non è un po’ la stessa cosa? te lo dico sapendo che Cézanne è tra i tuoi favoriti… che ne pensi?

Ongaro: Mi sembra la stessa cosa. Penso che Duchamp fosse, almeno in parte, consapevole che l'arte moderna mira alla ri-conquista di una dimensione situata oltre il tempo lineare. Forse non aveva capito che quello era il senso del lavoro di Cezanne e del Vèrlaine di "quando ri-fioriranno le rose di settembre".
 A quanto pare la cultura francese si è assunta questo compito fin dal Rococò! Il nome è demenziale ma la luce danzante nella pittura di Watteau cattura la più piccola unità di tempo e la rivela come sostanza erotica, un campo estatico generato da un dipolo femminile e maschile. Watteau è il preludio al Rinascimento, o forse sarebbe meglio dire pre-rinascimento francese, nel quale Cezanne ha un ruolo simile a quello di Giotto in quello italiano. In entrambi l’accento è su una sostanza erotica che Cezanne struttura con vigorosa lucidità cartesiana ottenendo una estensione dell'attimo di Watteu, il suo attimo comincia un poco prima e finisce un po' dopo. Con le sue intuizioni su spazio e sostanza precede e si spinge più lontano delle scoperte di Einstein e della fisica quantisca. Nei suoi quadri, per la prima volta nella storia dell'arte, si assiste al fenomeno di una qualità poetica così concentrata da generare una gravità che modifica lo spazio-tempo. Questo è il senso di quelle che, superficialmente, sono lette come deformazioni dovute ad imperizia. Val la pena ripeterlo: l'alto peso specifico della sua poetica causa una dilatazione nella struttura dello spazio-tempo. E c'è dell'altro perchè nella fase successiva si spinge fino alla esplorazione del vuoto che, in tempi molto più recenti, la fisica quantistica ha scandagliato formulando ipotesi affascinanti. 
Quanto a Duchamp, lui è tutto testa, intelligenza feroce ma lirismo zero. E' monocolo, ma l’unico occhio è ai raggi X e vede in profondità nel tessuto culturale. Un caso clinico? Forse... ma se lo è la nostra civiltà è un caso clinico, lui non fa che mostrarla nuda come mamma l’ha fatta. La radiografia è chiara, la diagnosi certa: è un ermafrodito sterile! Sardonicamente, prova a metterci una pezza con Rrose Sèlavy ma il frutto dell’incesto (Etànt donnès) è un incubo che invita agli scongiuri. Condivido la sua difesa del principio di Identità e il potenziamento di un Io problematico e ostinato che si prepara ad affrontare il monolito del Tempo.

Senaldi: Dicono che sei un irregolare, un nomade dell’arte, un giramondo… ma non era meglio accasarsi, mettersi il cuore in pace e far parte di uno dei tanti club artistici alla moda? Non hai almeno un piccolo rimpianto di una carriera tranquilla, onorata e prevedibile al seguito di qualche bel carro trainante?

Ongaro: Carri, carrette e carriole non mi interessano, quanto ai club artistici mi viene in mente cosa ne pensava Luciano Fabro che li definiva i "cornuti dell'arte moderna". Confesso di non capire come facciano tanti colleghi a ripetere la stessa filastrocca per tutta la vita. Deve essere che l'arte è una merce rara, inversamente proporzionale al numero degli artisti in circolazione. Per quanto mi riguarda forse tutto dipende dal fatto che non sopporto la noia. In altri tempi sarei stato un avventuriero, oggi l'avventura che mi affascina è quella intellettuale che di solito si concilia male con una carriera onorata e tranquilla. Oltre che irregolare, nomade dell'arte, giramondo, mi hanno dato dell'aborigeno. Devo dire che questa definizione mi calza a pennello perchè ho la sensazione che ciò che cerco sia stato con noi fin dall'inizio, ab-origine.

Senaldi: Nelle tue prime opere eri quasi un minimalista imprevedibile; poi sei passato a una scultura classica con tanto di marmo bianco statuario; poi sei transitato per un monumentalismo policromo e magari intarsiato di mosaico; e dopo ancora ti sei lanciato in grandi quadri a olio su tela… Ma come? Mi rimani pur sempre nel repertorio classico…. Forse sei un neo-classicista?

Ongaro: Credo proprio di no anche se l'idea di un aborigeno neo-classico mi diverte molto. Il mio lavoro se la vede col Contrappunto, nel senso inteso dalla musica barocca, vale a dire la relazione tra voci armonicamente interdipendenti ma indipendenti in ritmo e colore. Tra l'altro credo sia questo il modo di fare arte d'avanguardia oggi, non più micropoetiche ma la loro configurazione in una nuova complessità. La complessità è alla base del mio lavoro non la sintesi, certamente non quella tesa ad una idealizzazione che è fondamentale per il modo d'essere neoclassico. Ma se è agli strumenti che ti riferisci, e il vero problema dell'arte è il rapporto col Tempo, allora gli strumenti più efficaci rimangono pittura e scultura. Quelli nuovi, video, films, foto etc. sono a questo riguardo impotenti perchè ciò che registrano è, inevitabilmente, già passato. A quando una riflessione sulla differenza tra pittura e immagine?

Senaldi: Certi personaggi che ci hai fatto vedere, lo scimmiato , la dolce Sara, un Cristo con tanto di lingua fuori, un poeta contadino che sembra uscito da un pezzo di cabaret meneghino degli anni ’70 – sono certamente dei simboli, ma di che cosa? Athos, cosa ci vuoi dire? O forse non vuoi dire niente, sei come un Murillo, un Pitocchetto dei giorni nostri? Ma allora, per tanto così, non bastava un iperrealista qualsiasi?

Ongaro: Ma dai, non sono un Murillo, che pure trovo delizioso, e neppure un Pitocchetto, tantomeno un iperrealista. Le sculture di cui parli, "Flasher" in testa, rappresentano degli oltresociali, personaggi sovversivi che una carica dirompente catapulta fuori del sociale e in quanto tali semmai esemplari, non simbolici.

Senaldi: Hai scritto che “… la funzione più intima dell’arte [è] sintonizzare l’Eros individuale su quello cosmico”… mi dici che cosa significa? Io non sono convinto che esista un Eros cosmico – e se invece nel cosmo ci attendesse solo un lunghissimo raffreddore entropico…?

Ongaro: Voglio dire che la nostra macchina percettiva ha bisogno di essere messa a punto per stare alla pari con l'accresciuta consapevolezza che abbiamo del Cosmo che è un qualcosa di vivente, quindi erotico, enormemente più complesso del segmento che abbiamo colonizzato. A volte mi sono chiesto se per caso non stessi producendo aspirine per la cura del raffreddore entropico. Minchia, sarebbe una bella fregatura visto che il suo mercato è in crisi da quando la fisica quantistica ha messo in dubbio anche l'entropia.

Senaldi: E l’Arte… – insomma, seriamente, perché la si fa, dove dovrebbe portare? Ho letto ieri che un manager (il figlio di un ministro, ndr) ha guadagnato in un anno 5,5 milioni di euro – se fai il calcolo sono circa 15mila euro al giorno, domeniche incluse – non è che abbiamo sbagliato qualcosa? Non aveva ragione Dalì a dire che il denaro, anzi l’oro, era davvero il segreto alchemico anche dell’arte?

Ongaro: Anche se dietro le dichiarazioni di alcune superstars anglosassoni si intravede un elettroencefalogramma piatto, ha sparato piu cazzate Dalì che Warhol, Koons e Hirst messi assieme! La risposta è: alla conquista del Tempo, chiamata anche conquista del Sacro e per questo da noi laici frettolosamente rifiutata. Ma al problema del Tempo non si sfugge. Ad esso dobbiamo una crisi ricorrente originata dalla sua scomposizione in Essere e Divenire e, tra l'altro, la disputa fra il desiderio di assoluto degli iconoclasti e la difesa della complessità degli iconofili. Se qualcuno pensa che queste crisi appartengano al passato si sbaglia perchè, guarda caso, siamo nel bel mezzo di una, diversa solo perchè gli iconoclasti usano la maschera del denaro per annullare le identità in un assoluto energetico. Siamo sicuri che il denaro sia una qualità morale? E, visto che da Duchamp in poi la decisione su cosa sia l'arte sembra, almeno in parte, essere nelle nostre mani, siamo certi che sia questa l'arte che vogliamo?  
E a proposito di quattrini bisogna dire che siamo stati dei coglioni a menarcela con le chitarrine e "sex & drugs and rock'n'roll" mentre i "trentamila dominanti" delle varie City, con la complicità del sistema politico e dei Media si impadronivano del pianeta devastandolo e riducendoci al ruolo di servi della gleba.

                                                       Painter, 2008, olio su tela, 230x200 cm



Wednesday 12 March 2014

BREVE STORIA DELL'ARTE


 
Asterione, 1978, bronzo, 74x62x8 cm

La mia storia dell'arte comincia molto, molto tempo fa nel paradiso della nostra infanzia, laggiù nelle isole beate dell'Egeo: Creta e dintorni per intenderci. È stata un'infanzia senza grossi traumi, addirittura felice direi. Così felice che si potrebbe credere sia stata un sogno o che la memoria faccia lo scherzo di modificare i ricordi a seconda dei nostri desideri, ma ciò che è rimasto, affreschi, sculture, vasi di Kamares costituisce l'evidenza visiva d'una gioia di vivere che è difficile confutare.

Vivere in simbiosi con la Terra accettandone il chiaroscuro di gioie e dolori era forse alla base di quella felicità, un'esistenza che è esatto definire mistica. Qualcuno adirittura la usava come una sorta di trampolino per lanciarsi verso il cosmo o almeno verso l'ignoto.

È durata qualche migliaio d'anni fino a che bande di predoni sanguinari, calati chissà da dove, aiutati pare da qualche bel cataclisma, hanno messo fine a tutto col ferro e col fuoco.

Questi psicopatici ben poco avevano di mistico e a vivere in comunione col cosmo non ci pensavano proprio. Furto, stupro, assassinio erano le specialità della loro natura, confluite generosamente nel nostro codice genetico.

Buon per noi che non tutto è andato perduto, il ferro e il fuoco, infatti, hanno operato sul quel paradiso una sorta di grandiosa e drammatica trasmutazione alchemica dissolvendolo e trasformandolo in un succo che ha potuto così essere assimilato dagli psicopatici. 


A stormy day, 2013, olio su tela, 195x130 cm

L'elisir si dimostra efficace e in meno d'un millennio riesce a modificare un poco i bruti. Non che li ammansisca, figuriamoci, quelli continuano inperterriti a trucidarsi, ma, per l'effetto della pozione sulla loro natura belluina, tra un massacro e l'altro, trovano il tempo di uscire con una serie di opere da lasciare senza fiato. È nata l'arte.

I Greci, che di loro si tratta, hanno dato a questa sorta di provvidenziale operazione alchemica forma antropomorfica e divinizzata chiamandola Dioniso e, con ragione, fanno risalire a lui l'arte.

Nei Greci il genio è pari alla ferocia, le stragi sono efferate la fioritura dell'arte prodigiosa ma la la primavera dura poco e i Romani che ne prendono il posto, intimiditi da tanto splendore, se ne dichiarano eredi ed ammiratori ma si guardano bene dal tentare di imitarli. Li imitano però nelle stragi che d'ora in poi serviranno a diffondere la civiltà, su questo naturalmente gli incivili non sono d'accordo e appena possono li tolgono di mezzo.

Non è stato un gran periodo per l'arte, i testoni degli imperatori sono da incubo, e il loro merito più grande è quello di trasmetterci copie eccellenti dei capolavori che amavano. Da un popolo che ha divinizzato lo Stato non potevamo aspettarci di più!

Bisanzio può far così il suo ingresso in scena; anche loro, è naturale, sono eredi dei Greci ma è una Grecia quaresimale, irriconoscibile sotto il saio del penitente. L'infausta dottrina platonica e il cristianesimo hanno imposto un digiuno dalla materia e da quel poco di gioia che ce ne veniva. L'arte ci mette una pezza approfittando del desiderio Cristiano di glorificare il Creatore, infonde eros e poesia a quell'universo algido, si butta nella avventura col solito entusiasmo e crea mosaici da delirio anche se, per motivi di praticità, è poi la pittura che si diffonde maggiormente. 


A very holy family, 1994-1999, marmo e mosaico, 128x185x28 cm

Ma si sa, l'arte soffre di claustrofobia, non ce la fa proprio a stare ingabbiata nei dogmi e poi ama i viaggi e nel suo vagabondare capita in Italia. Ne intuisce il potenziale: la sua posizione al centro del Mediterraneo è strategica, l'ambiente è favorevole e la campagna toscana ha un che di famigliare, ma sì le ricorda Creta e questo la commuove e la fa sentire a casa e c'è dell'altro, come una strana presenza nell'aria, del resto già Virgilio (o era Sofocle?) aveva cantato "Dioniso protettore della famosa Italia." Ma come faranno i poeti a beccarle così? In attesa che la scienza ci spieghi il fenomeno registriamo che proprio qui, al centro dell'Italia, nella pittura senese l'arte si divincola dai lacci bizantini, riprende fiato, si rincuora e di lì a poco esploderà in un'altra primavera.

Non so perchè queste accensioni avvengano solo ad intermittenza, perchè nell'Atene di Pericle e nella Firenze dei Medici, perchè Venezia e i Fiamminghi? Ma so che senza queste piene dell'anima, queste inondazioni benefiche, la vita, per tutti durissima, sarebbe forse intollerabile.

Nel Rinascimento tra Firenze e Venezia c'è genio da vendere, oddio a essere pignoli l'atmosfera è neoplatonica, ma per ora godiamoci la festa che con Plato i conti li regoleremo presto.

La Chiesa è potentissima e rispettando nell'uomo l'istinto che lo spinge verso l'arte si dimostra anche saggia, tanto che quando qualche iconoclasta menagramo comincia a scocciare ne autorizza senza troppi patemi l'arsione. Intanto il mondo si allarga, scopriamo nuovi continenti e in tutti portiamo la civiltà ed anche la vera fede, sempre nello stesso modo.

Il Rinascimento è un'oasi provvidenziale e ci ristora, ma cominciamo a essere vittime di miraggi e la meta è lontana, dobbiamo affrontare il deserto è tempo di andare. Lasciamo così il tempio dell'idealismo platonico che fresco del restauro operato dall' arte è sfolgorante, ma si tratta appunto di restaurazione e si sentono scricchiolii sinistri, l'edificio traballa e la spallata finale verrà da due esperti di miraggi, artisti e pensatori di singolare potenza e lucidità. 


Somewhere by the sea, 2013. olio su tela, 230x200 cm

Nietzsche intuisce che i limiti descritti nella caverna dell’allegoria platonica derivano dal sistema platonico stesso e che la filosofia in generale, essendo parte del problema, non ne offrirà la soluzione. Inquadrato il problema gli dà veste antropologica: passaggio da quella quasi scimmia che è l'uomo a un qualcosa di ancora sconosciuto che chiama oltre-uomo. La sua posizione potrebbe sembrare a prima vista in sintonia con le tesi evoluzioniste che vanno per la maggiore ma la novità è che questo processo non avviene per automatismo filogenetico ma deve essere frutto di una scelta consapevole e va conquistato.

Questo fa dell'uomo un progetto vivente che si autodefinisce affrontando l'ignoto e introduce, attraverso la scelta, un certo grado di libertà. Il dinamismo di questa soluzione scardina lo statico universo platonico aprendo la strada a nuove idee su tempo e spazio.

Con intuizioni vertiginose Nietzsche indica la direzione e premurosamente ci lascia un manualetto farcito d'insidie e trabocchetti, lo "Zarathushtra", che ci serva come guida ed allenamento. L'istinto lo spinge e gli dice anche che non raggiungerà la meta però lui ci prova, ce la mette tutta, anche troppo, tanto che alla fine gli saltano le valvole, non prima però di aver intuito che nella comprensione di un qualcosa accaduto nel nostro passato può trovarsi la soluzione. Dioniso, come dire "vissi d'arte vissi d' amore", diventa la figura dominante e uno degli affreschi ritrovati negli scavi di un palazzo minoico, quello delle scimmie blu, ci conferma che proprio lo stesso problema era centrale nella civiltà che è stata la nostra infanzia. Ci teneva tanto ad essere uno spartiacque ed una sorta di padre dell'uomo a venire e come tale merita di essere ricordato.

Nel procedere verso la libertà suo compagno d'avventura è Strindberg e se Nietzsche ha percorso a ritroso la storia della filosofia fino alla sorgente che le da origine, scoprendo che questa può trovarsi nel passato, ma anche nel presente o nel futuro aggiungo io, Strindberg percorre lo stesso cammino ma nella carne e nella psiche dell'uomo verso il suo centro, la parte più intima ed originaria, identificando e neutralizzando le sovrastrutture culturali e religiose che intralciano il cammino. Il compito è immane, entrambi ne escono stroncati, Nietzsche tramonta nel nome di Cristo e Dioniso, Strindberg sembra inchinarsi all' ultimo bastione cristiano: "Ave crux spes unica" diventa il suo motto, ma non si è arreso e lucidamente tenta un'interpretazione esoterica del Cristianesimo. Ma neppure questo lo convince che anzi dubita, ed io con lui, della salute mentale dell'Artefice ma, non avendo un'alternativa, chiude la sua vita col beffardo "ma si prete, andiamo, prima che cambi idea".

Entrambi critici implacabili del Cristianesimo, si accaniscono nell'opera di demolizione finchè questo crolla fragorosamente, o meglio, ciò che cade si rivela un rivestimento che polverizzandosi ne libera il nucleo vivo ed incandescente ed una figura dai tratti famigliari ne emerge... Ma sì è lui! Del resto da Dioniso, maestro di travestimenti, c'era da aspettarselo. 


 
Fontana I, 1976, marmo bianco, h. 220 cm

Nel loro atteggiamento che vaglia in maniera lucida e spietata ogni idea e non si ferma davanti a nessun altare, se questo intralcia il cammino dell'uomo verso se stesso, riconosciamo il carattere dell'epoca nuova che sta nascendo. Prenderà il posto dell'altra che ormai decrepita, sta passando a miglior vita. La sua giovinezza è stata ben rappresentata dai "Kouros" la vecchiaia dai "Cittadini di Calais" e in essa è successo di tutto: poche gioie, molti dolori che abbiamo sollecitamente metabolizzato e trasformato in arte rendendo così possibile la continuazione della nostra vita.

Ma non abbandoniamoci alla malinconia, siamo ormai nella nuova epoca. La rivoluzione industriale avanza rombando, le scienze hanno uno sviluppo prodigioso e partiamo all'assalto del cosmo e del microcosmo, scopriamo che forze misteriose modellano lo spazio e che la natura del tempo è relativa. La fisica quantistica sostituisce la certezza dell'oggetto fisico con campi di forza ed aree di probabilità dell'evento, moltiplica le dimensioni, non facciamo in tempo ad abituarci alla quarta che diventano cinque, dieci, da perderci la testa! Lo sviluppo della tecnologia potenzia le nostre capacità, diventiamo dei Super Man, voliamo, ci immergiamo negli oceani come nelle profondità di noi stessi, la nostra forza è moltiplicata per mille. Inventiamo tra le altre cose la fotografia, seguiranno le tecniche digitali e i pantografi laser computerizzati che permettono la realizzazione d'immagini a due o tre dimensioni di straordinaria fedeltà ed efficacia.

L'arte sgravata dall'obbligo della rappresentazione, stordita e stimolata si avventura in territori inesplorati. Le teorie più estreme vengono applicate, tabù e limiti infranti, nessun valore rispettato.

L'insieme di queste sperimentazioni, caotico come il rimescolamento e proiezione di lava di un'eruzione vulcanica, è parte dello sforzo per disincagliarsi dalle secche del vecchio ciclo culturale. Le possibilità offerte da questa libertà sono affascinanti a patto che l'arte sappia difendere la propria integrità, per questo dobbiamo diventare più diffidenti di Tommaso ed essere certi che sia qualcosa di vivente e non la salma che, a fatica, stiamo interrando. Infatti strade che sembrano portare verso la libertà possono rivelarsi vicoli ciechi come avviene con Duchamp, attorno al quale ruota il vero problema dell'arte moderna.

Che è moderno si capisce subito perchè ha fretta, non ha tempo da perdere e per arrivare all'arte prende una scorciatoia che taglia fuori il mestiere. Confortato dal parere di Leonardo, che di mestiere ne aveva da vendere, dichiara che l'arte è cosa mentale e cerca di darle scacco matto nella maniera che sappiamo. Roba che uno pensa – Beh questo è andato, vedrai che lo rinchiudono – e invece no, se ne va a New York che in attesa di diventare la nuova Roma è la capitale dell'egocentrismo e diventa il beniamino della borghesia ricca e cosmopolita.

È chiaro che sotto l'aspetto demenziale e provocatorio si nasconde ben altro: una tesi proposta come un dilemma e basata sull'assunto che il nominare corrisponda all'essere rendendo così obsoleto il fare. ll dilemma è se debba essere l'arte a decidere chi siamo o noi a decidere cosa sia l'arte. Ma il nominare non produce l'essere, pare che il giochetto riesca solo a Yahweh, e suggerendo che è in nostro potere decidere ci fa una proposta meliflua che solletica il nostro desiderio di libertà, assume il ruolo del Tentatore lusingandoci con l'offerta di diventare i re del mondo senza fatica. 


Autoritratto con la Cavalla, 1990-91, bronzo, 118x150x13 cm

Troppo facile per essere vero e nell'arte il fare è il punto d'incontro tra le possibilità della materia e i desideri della mente e non è possibile evitarlo ingigantendo la funzione intellettuale, il mestiere lungi dall'essere limite od ostacolo è un vero toccasana che disciplina la mente, la salva dai deliri d'onnipotenza e la invera.

Mai onanista ha avuto prole così numerosa e questo perchè offre a individui o gruppi privi dell'intelligenza specifica (musicale, letteraria, pittorica etc.etc.) la possibilita di soddisfare con l'arte un'urgenza espressiva, ma quello espressivo è solo un aspetto accessorio dell'arte. Non difendo certo l'accademismo né voglio negare libertà d'espressione ma quella di Duchamp è una trappola pericolosa perchè si vuole che ciò che è espresso abbia valore d'arte.

L'arte però ridotta ad uno dei suoi aspetti accessori semplicemente cessa di essere tale, ecco allora, dato che ce n'è gran richiesta, intervenire lo Stato o entità abbastanza potenti da disporre di Musei e istituzioni culturali che tentano la trasmutazione con la propaganda, anche perchè snaturando l'arte e sostituendola con didattica, sociologia, intrattenimento potrebbero manipolare gli individui e farne sudditi più funzionali. Questo nelle democrazie, nei regimi totalitari l'arte è subito sostituita dall'illustrazione ideologica.

In entrambi i casi il risultato è una contraffazione che nega la dialettica uomo-mondo e reintroduce una staticità dogmatica simile a quella di cui ci stiamo liberando. La scelta è quindi tra l'affrontare il mistero in modo appropriato o darsi un' ontologia di Stato.

Due parole anche per il Mercato che non è innocente come si vorrebbe. Basta metter piede ad una fiera per rendersi conto che il giro di denaro generato dall'arte è gigantesco e deve essere alimentato da un prodotto sempre a portata di mano, ma l'arte è come un tartufo che cresce dove e quando vuole e della serra proprio non ne vuol sapere.

Come vedete questi problemi sono dovuti al prestigio di cui l'arte ancora gode, al suo essere così radicata nell'uomo occidentale e con ragione perchè essa ha sostituito in noi il cordone ombelicale che ci collegava al mistero, cosmo, chiamatelo come vi pare e ci offre qualcosa di cui siamo assetati, la possibilità di confrontarci col reale senza intermediazione divina e senza degradarlo a macchina insensata.

Resta da vedere come emergerà l'arte da questo bagno magmatico e mentre yoghi e mistici ci assicurano che astraendo la mente dal mondo e concentrandola su se stessa o su un'idea divina si può raggiungere la suprema beatitudine, mentre Stato e Mercato garantiscono la trasmutazione del supporsi in essere io difendo l'autenticità dell'arte, il suo essere una singolarità che genera il proprio spazio-tempo, che fa mondo insomma, crea la vita. Credo che libera da preoccupazioni sociali, morali ed anche estetiche possa dedicarsi al potenziamento della sua natura più intima che è iniziatica e guidarci come un filo d'Arianna attraverso il labirinto della vita e della storia fino ad una rifondazione ontologica dell'uomo.

Rifondazione basata sulla riconquista dell'innocenza dell'antica cultura secondo la quale il mondo non è ostacolo, illusione, preda ma partner vivente e indispensabile nel gioco libero e spontaneo della creazione. Questa innocenza, rimasta viva nell'arte, la fa muovere con agilità nel mistero e permette allo scultore di modellare la creta quanto alla creta di modellare lo scultore.

Sostengo che questa dialettica, dal profumo squisitamente erotico, può portare allo svelamento dell'Essere come processo poetico in atto e il riconoscersi in esso sarà, per chi lo voglia, la meta. Meta non facile ma in essa consiste la vera libertà.


Athos Ongaro
Aprile 2005

Monday 24 February 2014

STELLE ROTANTI




Civiltà e cicli culturali si susseguono come le ere geologiche e come alle ere geologiche possiamo dare nomi diversi per distinguerle. Alla nostra ce ne sono diversi che ben si adattano: civiltà Egocentrica, per l’enfasi posta sull’Io, oppure civiltà del Libro, contrapposta a quella della Visione che l’ha preceduta. Su questa, parlo dei Minoici, sarà interessante soffermarsi per vedere se qualche parte del loro DNA ci è stato trasmesso e come.
Creta è posta al centro dell’Egeo e in essa hanno confluito culture provenienti dall’Egitto, Siria-Palestina e penisola Balcanica. La bellezza dell’isola è commovente, la si ama come un’amante. Un viaggio di pochi chilometri dalla costa verso l’interno montuoso ne rivela la completezza di piccolo mondo, dandole tempo  di stimolare in noi quella capacità visionaria che può svelarcela come vivente.
 Non ci sorprenderà, quindi, scoprire che la visione fosse il centro attorno al quale si dispiegava l’universo minoico, i picchi delle montagne e le viscere della terra i luoghi previlegiati di queste epifanie. Nella visione, caduta la barriera tra fisico e metafisico, visibile ed invisibile, il mondo si rivelava come partecipe della natura di entrambi. Quando con la visione cominciò a scemare la pienezza di senso che ne deriva, i Minoici non si rassegnarono e ricorsero al papavero da oppio, coltivato estesamente nell’isola. Alcuni anelli d’oro mostrano personaggi estatici all’apparire di figure provenienti dal cielo o danzanti tra loro in mezzo ai fiori. Chi fossero e quale rapporto avessero coi Minoici lo ignoriamo ma di due possibili attori ci è stato tramandato il nome. Una veniva chiamata Signora del Labirinto, l’altro era conosciuto sotto diversi nomi tra i quali Dioniso.


 È possibile che la prima fosse Creta stessa, e la Terra per estensione, nel suo aspetto di madre, amante e guida in un percorso iniziatico. Col tempo assumerà altri nomi e con Dioniso avrà un ruolo importante nella storia dell’Occidente. Della loro somiglianza con Iside ed Osiride molto si era parlato nell’antichità, ma l’incontro con gli isolani delle Cicladi, avventurosi e indipendenti, modifica la loro natura. L’estatico suonatore d’arpa cicladico rivela, infatti,  che da quelle parti gli uomini si sentivano già Dei, o gli Dei uomini, e le peripezie di Iside e del suo compagno rappresenteranno il viaggio dell’Uomo nel mondo alla scoperta di sè.
Questo fà dellla civiltà Minoica un insieme pulsante e dinamico, pervaso di erotismo e di una grazia ineguagliata, parte di un cosmo vivente ed in costante evoluzione, nel cui mistero l’uomo può addentrarsi sulle orme della coppia esemplare. Ad esso ben si adatta la formula che accomuna Eraclito allo Zen “Uno in tutto e tutto in uno”.
Se l’età del genere umano rispecchia quella dell’individuo Creta è stata la nostra infanzia, per questo Krates ed Aristophanes la ricordano come un luogo incantato, avvolto nella nebbia dorata del mito, dove uomini ed animali dialogavano in amicizia e con ironia.
Ce la siamo goduta, ma niente è per sempre e quando la fine arriva è cataclismica e non lascia dubbi che si tratti della fine di un mondo. La Terra si era fatta sentire anche prima con terremoti frequenti ma questa volta, forse per la magnitudine degli eventi calamitosi, neppure le visioni salvano dall’orrore per la madre ed amante che rivela il suo aspetto nefasto. Traditi da essa ed aggrediti da popoli bellicosi provenienti dalla terraferma i Minoici non hanno la forza di reagire e su loro cala il sipario, l’amato kindergarten chiude i battenti.


Passeranno secoli prima che dal caos che segue emerga un nuovo cosmo; frutto dell’incontro tra i barbari e la civiltà che li ha preceduti i suoi connotati saranno quelli a noi più familiari del mondo greco.
Non tutto della sofisticata realtà Minoica andrà perduto ma l’abbandono alla vita e il senso di appartenenza intima al mondo, saranno sostituiti da una sorta di schizofrenia tattica che estranea ma assicura maggiore autonomia. La fine della comunione col mondo riduce però il flusso dell’Eros e la noia subentra alla pienezza di senso. La scissione si ripete allora nella persona che proiettandosi fuori di sè si guarda vivere ed agire e da questo, paradossalmente, ha inizio una cultura egocentrica.
L’eredità minoica si fa sentire nelle due definizioni che i Greci hanno per vita: bios la vita dei singoli, provvista di identità e soggetta al tempo e zoë la vita nel suo aspetto indifferenziato e libera dal tempo. I Minoici vivevano simbioticamente l’una come manifestazione visibile dell’altra, non così i Greci egocentrici e tormentati da una mancanza ontologica. Nell’ansia di colmare questo vuoto cercheranno di capire l’enigmatico altro da sè che è divenuto il mondo sondandolo con la luce fredda dell’intelligenza analitica ma per i bisogni che questa non può soddisfare saranno attratti dall’antica cultura, seguendone le orme in un cammino di carattere iniziatico che troverà forma nei Misteri. Ciò che è trapelato ne conferma la continuità con l’aspirazione presente da sempre in questa parte del Mediterraneo: l’Uomo-Dio.
Per saperne di più analizziamo la società greca e un primo indizio ci viene da una manifestazione pubblica, di carattere sacro, che celebrava Dioniso: il Teatro. Nato dal ditirambo e dalle processioni falliche si svilupperà nella Tragedia e nella Commedia attraverso le quali si poteva vivere un’esperienza trasformatrice: il partecipante, fuori di sè, s’identificava col Dio che interpretava l’uomo e guardando alla propria vita da una prospettiva diversa ne coglieva la sacralità. 


Anche Eraclito ci aiuta, affermando che La medesima cosa sono Ades e Dioniso per cui impazzano e si sfrenano, ricorda che il Signore dell’Eros che produce la vita è anche Signore della morte. Come Eroe, infatti, è sceso agli inferi ma a differenza degli Eroi ne è tornato, padroneggiando Eros e Thanatos ce li svela come due facce della stessa medaglia.
Durante i festivals religiosi che celebravano l’impresa si apriva un canale tra il mondo dei vivi e quello dei morti mentre la moglie del re d’Atene, indaffarata nei preparativi concernenti una rinascita, riceveva Dioniso col quale si intratteneva in una conversazione estatica e al quale, dicono, si univa carnalmente. Alcuni vasi di ambito dionisiaco alludono maliziosamente all’Eros come chiave d’accesso all’universo del Dio anche se, essendo un segreto religioso, ne ignoriamo gli sviluppi.
Nessuno tra gli Dei riflette l’uomo meglio di Dioniso. Il “Dio Pazzo” nasce immaturo, patisce la morte ma rinasce; la sua complessità e profondità è tale che il presentarlo come Dio del vino fa pensare  ad un vero e proprio depistaggio. Il suo rapporto coi Greci è problematico, dapprima rifiutato come alieno trionferà grazie alle donne nelle quali è forte la capacità visionaria. Con Phebo, invece, il Greco s’identifica con piacere ma dell’altro, più tenebroso, non può fare a meno e la dialettica fra i due favorisce il dispiegarsi di un orizzonte metafisico dove l’intelligenza greca si muove con agilità, spaziando dall’Essere come eterno flusso e divenire di Eraclito, a Parmenide che lo concepisce sempre uguale a sè stesso ed immobile. Tra queste coordinate  navigherà il pensiero occidentale cercando una sintesi tra posizioni che appaiono inconciliabili. Ma la soluzione tarda a venire e la nostalgia per la dimensione perduta si fà sentire, sarà l’arte ad occuparsene svelando nell’oggetto la fragranza dell’Essere e reinstaurandolo nel ruolo che gli è proprio. 
Inizialmente questo assetto è equilibrato, ma col tempo l’Io greco s’identificherà sempre più con l’intelligenza speculativa, ingigantendola a scapito di altri aspetti di sè che confluiranno nella parte sommersa dell’Uomo. La tendenza si radicalizza nella filosofia platonica che divide la realtà fra Idea e Materia, la prima eletta a soggetto domina l’altra degradata ad oggetto, subordinando così la totalità dell’uomo a quell’Io che si riconosce nei processi ideativi che sono, alla superfice, verbali. Questo penalizza l’Eros, esso infatti emana dalla relazione fra due soggetti mentre il rapporto col mondo banalizzato ad oggetto è un’autopsia. 


È ironico che l’allegoria della caverna di Platone descriva così bene l’uomo che, proprio identificandosi con la funzione intellettuale, s’imprigiona nella caverna del cranio percependo solo le ombre della realtà. Realtà che sarebbe avvicinabile unificando erotismo e pensiero, ma la dialettica platonica è sconnessa, svilita una parte alla tesi non corrisponde un’antitesi vitale e la sintesi è malaticcia.
Lascio ad altri l’analisi della pederastia greca, specie nella forma praticata a Sparta dov’era propedeutica all’Areté, l’eccellenza. Interessanti anche le dimensioni del sesso maschile nelle sculture dove è ridotto ad un gingillo decorativo, perchè mai i Greci ne ritenevano elegante la riduzione a dimensioni insignificanti? Alle donne non è poi che andasse meglio, con l’ovvia volontà di ignorare la carnalità ogni traccia di sessualità è mortificata. Che civiltà uscirà da queste premesse? Certamente una così amata da Wienckelmann da spingerlo a “migliorarla”, tanto da giustificare la leggenda che lo vede impegnato nel levigare le sculture classiche su cui può mettere mano, eliminando il colore e sfumando i volumi per confermare la sua teoria che l’arte Classica è in realtà Neoclassica.
Sull’altra sponda del Mediterraneo fa parlare di sè una popolazione Semita installatasi in Palestina previo sterminio degli aborigeni, come da autorizzazione scritta dell’Altissimo. Portatrice di una religione monoteista aspra e fieramente avversa agli idolatri, identificati in coloro che onorano le manifestazioni visibili dell’Essere. Gli Ebrei infatti adorano il Verbo, meglio se scritto nel Libro che registra, oltre alla loro storia, una serie di verità rivelate da Dio tramite visione ad un interlocutore previlegiato. Tra queste significativa quella che chiarisce l’origine della realtà, semplicemente chiamata ad essere dal nulla, perchè sottolinea l’importanza dei processi verbali per questo popolo singolare.
La testimonianza del passaggio da Visione a Libro non è l’unico aspetto interessante di questa cultura, in seno ad essa nascerà, infatti, una nuova religione il Cristianesimo. Molto nel Cristianesimo è di derivazione ebraica ma vi riaffiorano elementi Dionisiaci riguardanti la morte-rinascita, resa possibile dal figlio di Dio che per amore dell’uomo si incarna espiandone sulla croce il peccato originale, in dubbio quelli successivi. La nuova religione non solo parla d’amore ma lo pone al disopra dell’ortodossia ebraica e il fondatore, in accordo col destino scelto, pagherà con la vita quest’audacia.


In Italia sono attivi da tempo gli Etruschi e se fin troppo si è scritto sull’influenza di Ellenismo ed Ebraismo nella formazione dello spirito europeo, non si è riflettuto abbastanza sul nostro debito verso quel popolo misterioso. Circondati da una atmosfera sulfurea gli Etruschi sono di casa nell’arcano, maturi e virili sanno che forze immani e spesso ostili sovrastano l’uomo ma, pur intimoriti, non cedono e non si affidano agli Dei, forse perchè non li ritengono sufficentemente reali. Risuona tra loro la nota di fondo dei metafisici: la consapevolezza, nelle cose, della tensione fra l’essere e il nulla. Mi piace pensarli là in alto nelle città ventose osservare la pianura sottostante, i campi coltivati e la selva primordiale che ancora copre tanta parte d’Italia, mentre riflettono sul modo migliore per sfidare gli Dei. Non allo sprint no, in quello sono imbattibili, i Greci che di talento ne avevano c’hanno provato... bruciati, e non si sono mai più ripresi! Piuttosto una sfida di lunga durata visto che hanno un’arma segreta, metabolizzano il dolore e lo trasformano in propellente. Torneremo a parlarne, per ora limitiamoci a registrarne l’influsso sulle tribù locali che porterà Roma ad accogliere l’eredità di Atene.
Beh, Atene non è più quella di una volta e gli artisti se ne vanno, portando in ogni angolo dell’impero romano se non la freschezza creativa, almeno un’eccellenza esecutiva impareggiabile e i signori del mondo se ne circondano per goderne nei momenti di ozio. Anche il Cristianesimo punta su Roma, dove il suo carattere pastorale verrà arricchito dall’idealismo platonico compatibile col substrato ebraico, entrambi infatti subordinano la realtà sensibile a quella ideale. L’arte non ne trae gran beneficio ma, insomma, salviamo il mestiere che il resto verrà.
E verrà, infatti, da Bisanzio dove lo spendore orientale straripa nell’opulenza di mosaici deliranti che si emancipano dall’ambito pedonale lanciandosi alla conquista di spazi aerei, un mondo di materia rivelata nel suo aspetto erotico, puro Eros solidificato e fattosi colore. E se di Bisanzio niente o quasi è rimasto, una visita a Ravenna convincerà gli increduli, basta alzare gli occhi al cielo per essere inondati dallo splendore della Terra, alla faccia di Plato e del bello ideale! Il mondo antico celebra la propria fine nella formidabile conflagrazione musiva bizantina, proiettando il plasma incandescente che accrescerà la nuova stella, il Cristianesimo, dotandola di una vitalità e qualità terrigna ignota agli estenuati virtuosismi ellenistici.
Certo non tutto fila liscio perchè se l’animo greco, curioso e avido di conoscenza, aveva sfornato le ipotesi più disparate su ogni genere di problema, adesso le cose cambiano. Con Dioniso relegato agli inferi, dove non si trova male, e i Misteri degradati a curiosità etnico-sessuale il terreno è sgombro e la Chiesa si pone tra la naturale curiosità dell’uomo e il mondo imponendo il suo sistema interpretativo: una serie di “verità” difese da dogmi. Se Plato avesse usato la colpa come pietra angolare del suo edificio metafisico, gli Ateniesi l’avrebbero fatto rinchiudere ma il Cristianesimo compie il miracolo e l’Uomo, approssimazione miserabile di perfezioni iperuraniche, si china ed accetta il carico. La colpa comporta sanzioni e se quella originale, oscurata da un’inspiegabile amnesia ed espiata dal Salvatore, è in dubbio quelle che seguono scatenano i fulmini della Chiesa e con assoluzioni ed indulgenze serviranno a controllare quell’animale riottoso che è l’Uomo. 


L’impero romano finalmente crolla, per la gioia di coloro che detestano i signori del mondo, ma non crolla il Cristianesimo che guadagna posizioni concedendo agli ambiziosi, sufficentemente abili da emergere, l’approvazione divina ed ottendo in cambio le anime. Dissentire sarà pericoloso come scopriranno Giordano Bruno ed altri, chi si cura delle anime infatti difende coi denti un’ortodossia che assicura ampi privilegi tra i quali supremo, secondo alcuni, il piacere di violare la volontà altrui.
Nel periodo che segue l’arte perde entusiasmo forse perchè la Chiesa è un cliente difficile, soggetta com’è a periodiche crisi d’identità. La disputa tra Icono­clasti e Iconofili, pur nella sua ferocia, è solo l’aspetto superficiale del vero scontro, quello tra Realtà ed Astrazione. Per secoli la lotta divamperà furibonda tra chi sostiene che la mortificazione della realtà sensibile corrisponda alla virtù e coloro che vivono detta realtà come manifestazione poetica dell’Essere, al quale sentono di appartenere per diritto di nascita. L’astrazione andrebbe usata come il sale in cucina, un pizzico esalta i sapori, troppo li distrugge, ma disdegnando la gastronomia e non trovando una sintesi il Cristianesimo cercherà di salvare capra e cavoli, un bello stress. Alla fine gli Iconofili la spuntano ma l’influenza degli sconfitti invecchia e restringe le arterie poetiche e l’arte bizantina, dissecata e irrigidita in uno stile minerale, è ormai una foglia morta che il vento spazzerà via.
Vento che soffia vigoroso quando lo spirito Etrusco riaffiora in quella terra che li ha visti vivere e ne conserva, nelle proprie viscere, la memoria. Esso anima l’opera di Donatello e Masaccio dove appare un Uomo nuovo, fatto anche di carne e più complesso, è l’inizio dell’Umanesimo ragion d’essere del Rinascimento. L’entusiasmo è grande ma la strada sarà lunga perchè l’Uomo nuovo va costruito consapevolmente, atomo per atomo e il tentativo del vecchio, rigenerarsi con un bagnetto ellenistico e spacciarsi per nuovo, porterà ad un’overdose di platonismo. Ho poca simpatia per Michelangelo, campione della restaurazione contrabbandata per rinascita, altro è il sogno occidentale, altri gli artisti che rinfrescano il cuore avvincendosi alla sostanza in un Tango così erotico da infondere vita anche ai temi deprimenti prediletti dal committente. Negare il mondo esaltandone l’Eros risveglia qualche sospetto ma la Chiesa, saggiamente, finge di non vedere.


Da Firenze il Rinascimento si estenderà al resto del continente segnando la nascita, grazie al demone dell’arte, dello spirito europeo. Spirito europeo che è congegnato come una di quelle aspirine per chi ha lo stomaco debole, il rivestimento ebreo-platonico è dolce al palato cristiano mentre il principio attivo all’interno, che corrode gli Dei per aumentare l’Uomo, è Etrusco.  Il Logos prende casa a Firenze, l’Eros preferisce Venezia, difficile farli stare assieme ma gli artisti ci provano, come dimostra la formula attribuita a Tintoretto – disegno di Michelangelo e colore di Tiziano – ma fondamentale non è l’eccellenza di musica e libretto, ma che collaborino per svelarci che la natura del mondo è poetica, come accade nelle sculture policrome di Valdambrino e Jacopo della Quercia.
Ma non facciamo i difficili che tra Firenze e Venezia impazza la festa dell’arte, il miele cola dai favi e l’anima in piena della doviziosa Italia straripa inondando l’Europa. Questa è vita! L’alluvione feconda i giardini europei e i frutti non tarderanno a venire, contribuendo a spegnere i roghi dell’Inquisizione ed accendere il secolo dei Lumi. Ciò che era stato negato a Galileo sarà permesso a Newton e gli altri Illuministi. L’Uomo finalmente può dedicarsi alla scoperta di sè e del mondo, affinando strumenti razionali per verificare che le proprie ipotesi siano confermate da esperimenti e misurazioni.
Lo spettacolo può cominciare! I cinquant’anni a cavallo tra Ottocento e Novecento sono epici, Nietzche e Strindberg martellano ai fianchi Filosofia e Cristianesimo, Freud e Jung scoprono l’Atlantide misteriosa che giace sotto il livello della coscienza e ne avviano l’esplorazione. Einstein crea il finimondo, dopo lui Tempo e Spazio non saranno più gli stessi, mentre il pacchetto di mischia della fisica quantistica azzarda idee vertiginose su vuoto, materia e numero delle dimensioni.
Questa volta si fà sul serio ed il software ebreo-platonico sottoposto ad un attacco senza precedenti comincia a dar di matto. L’arte riflette l’angoscia per un mondo che si sgretola ma è attiva nell’impiantare le palafitte della nuova Venezia. Il saggio “Universo di morte” dello scrittore Henry Miller, di cui traduco i punti salienti, ci porta dritti al cuore del problema. 


...Scegliendo Proust e Joyce ho scelto due figure letterarie che mi sembrano le più rappresentative del nostro tempo...
Sono degli sconfitti, uomini che fuggono da una crudele, odiosa realtà nell’arte...
Prodotti ultracivilizzati li troviamo rifiutare ogni questione dell’anima, scettici della scienza stessa...
Questa formidabile rappresentazione del mondo come malattia che Proust e Joyce ci hanno dato...
Joyce è in rivolta non contro le istituzioni, ma contro l’umanità...
Quella disintegrazione dell’io che era presente nell’Ulisse è ora portata al limite estremo e corrisponde fedelmente alla disintegrazione del mondo esterno, abbiamo qui il più bell’esempio di schizofrenia, la dissoluzione del macrocosmo va mano nella mano con la dissoluzione dell’anima...
Idolatrare l’arte per sé stessa, non per l’uomo. Arte in altri termini vista come uno strumento di salvezza, come redenzione dalla sofferenza, una compensazione per il terrore di vivere. Arte come un sostituto alla vita...
Proust è più capace nel presentare l’aspetto metafisico delle cose, in parte grazie ad una tradizione così radicata nella cultura mediterranea...
Attraverso quei veri passaggi estatici nell’ultimo volume della sua opera, passi sulla funzione e il ruolo dell’artista, Proust finalmente raggiunge una chiarezza di visione che fa presagire la fine del suo metodo stesso e la nascita di un tipo d’artista interamente nuovo…
Proprio come i fisici esplorando la natura materiale dell’universo sono giunti alla soglia di un nuovo misterioso reame, così Proust...

Ma ecco il pensiero di Proust sull’arte:

 ...la verità era che sicuramente l’Essere in me ha goduto queste impressioni perchè in sè queste impressioni, avendo qualcosa in comune con un giorno da molto tempo passato con il momento presente, in qualche modo sono extratemporali e questo Essere in me fa la sua apparizione solo quando, attraverso queste identificazioni del presente col passato, si trova nel solo ed unico medium in cui può esistere e gioire l’essenza delle cose, vale a dire fuori dal tempo...
Un minuto liberato dalla legge del tempo ha ricreato in noi l’uomo liberato dal tempo...
...ed è comprensibile che quest‘uomo creda alla sua gioia perchè il fenomeno “morte” perde il suo significato, collocandosi fuori del tempo perchè dovrebbe temere il futuro?
...frammenti di esistenza riscattati dal tempo! Questo il vero e genuino piacere che si prova, anche se è fuggevole, a contemplare l’eternità...
...ci appartiene solo ciò che strappiamo all’oscurità che è in noi...
...si arriva quindi alla conclusione che nella realizzazione di un lavoro d’arte non siamo liberi, non possiamo scegliere come farlo perchè ci preesiste e di conseguenza, dato che è necessario e nascosto, dobbiamo fare ciò che dobbiamo fare come fosse una legge di natura vale a dire scoprirlo. Ma questa scoperta che l’arte ci obbliga a fare, nonostante rimanga di regola celata, non è forse la scoperta della nostra stessa vita?
...le varie teorie artistiche non devono farci perdere di vista la realtà che l’arte deve esprimere non la superfice degli oggetti, per quella va bene la fotografia, ma quella profondità dove l’apparenza conta poco...
...un’ora non è solo un’ora ma un vaso pieno di vari progetti ed atmosfere e quello che chiamiamo realtà è il collegamento tra queste sensazioni immediate e le memorie che ci avviluppano, questo collegamento è soppresso dal cinema come dalla fotografia che proprio perchè dichiara di attenersi alla realtà in effetti se ne separa.


La teoria proustiana dell’arte è superba e c’è dell’altro che Miller, troppo vicino, non vede. In astrofisica due stelle di neutroni rotanti in orbita fissa l’una attorno all’altra vengono definite un sistema binario, Proust e Joyce formano un sistema binario proprio come Cézanne e Duchamp. Così ho analizzato l’opera di Duchamp in ”Breve storia dell’arte”:

Che è moderno si capisce subito perchè ha fretta, non ha tempo da perdere e per arrivare all'arte prende una scorciatoia che taglia fuori il mestiere. Confortato dal parere di Leonardo, che di mestiere ne aveva da vendere, dichiara che l'arte è cosa mentale e cerca di darle scacco matto nella maniera che sappiamo. Roba che uno pensa – Beh questo è andato, vedrai che lo rinchiudono – e invece no, se ne va a New York che in attesa di diventare la nuova Roma è la capitale dello egocentrismo e diventa il beniamino della borghesia ricca e cosmopolita.
È chiaro che sotto l'aspetto demenziale e provocatorio si nasconde ben altro: una tesi proposta come un dilemma e basata sull'assunto che il nominare produca l'essere rendendo così obsoleto il fare. ll dilemma è se debba essere l'arte a decidere chi siamo o noi a decidere cosa sia l'arte. Ma il nominare non produce l'essere, il giochetto riesce solo a Yahveh, e suggerendo che è in nostro potere decidere ci fa una proposta meliflua che solletica il nostro desiderio di libertà, assume il ruolo del Tentatore lusingandoci con l'offerta di diventare i re del mondo senza fatica.
Troppo facile per essere vero e nell'arte il fare è il punto d'incontro tra le possibilità della materia e i desideri della mente e non è possibile evitarlo ingigantendo la funzione intellettuale, il mestiere lungi dall'essere limite od ostacolo è un vero toccasana che disciplina la mente, la salva dai deliri d'onnipotenza e la invera.


Con intelligenza luciferina Duchamp riassume e  conclude in un algoritmo fulminante l’ontologia ebreo-platonica svelandone la sterilità da ermafrodito. A questa cercherà rimedio nella copula blasfema e struggente con Rrose Sélavy  e dall’unione nascerà il conturbante  Étant donnés. Di quest’opera raggelante si può dire che fosse implicita nel Partenone.
Ma eccoci a Cézanne: secondo Manet – un muratore che dipinge con la cazzuola – è invece un titano il cui sguardo abissale, immergendosi nella materia, frantuma l’ideale platonico in una complessità che sarà indagata dagli artisti che seguiranno. Il suo universo, come quello della fisica quantistica, è un campo di forza le cui diverse vibrazioni formano i singoli eventi. Riconoscendo nell’Eros il “pacchetto d’energia” base della realtà e disciplinandolo, si concentra sulla funzione più intima dell’arte: sintonizzare l’Eros individuale su quello cosmico. L’aspetto mimetico della pittura lo interessa poco, ogni pennellata costruisce un piano, un volume e la modulazione di questa complessità, attraverso il colore, sprigiona una radianza che fà del quadro una singolarità che genera il proprio spazio-tempo. Il suo programma è rifare Poussin sulla natura, a quella natura a cui Watteau guardava con tenerezza infinita egli vuol dar permanenza, irrorandone le strutture con il colore saturo di pathos che eredita dall’amato Tintoretto. 
L’intreccio così serrato da risultare claustrofobico lo induce, da ultimo, a cercare con scansioni di tela nuda il respiro necessario, introducendo nella meditazione pittorica sull’Essere il vuoto come componente rinfrescante. Con una pittura radioattiva questo “muratore” pone le fondamenta di una nuova ontologia. Tanto lucida è la sua riflessione  che non gli sfugge certo la perdita del contorno... il contorno! Ovvero quella linea che definisce l’identità.
È questa la funzione di Duchamp e Joyce: assicurare la presenza dell’Io, foss’anche in forma stravagante e bislacca, completando l’ascesa dal Tempo all’Essere con la discesa dell’Essere nel Tempo. E se la prima dovrebbe liberarci dal timore della morte, la seconda si spera rilanci il gusto della vita. Artisti complementari, dunque, perchè gli uni senza gli altri rischiano: Cézanne e Proust il dissolversi nell’iperurano platonico, Joyce e Duchamp di naufragare sulle scogliere di Circe con l’inevitabile trasformazione in suini.


Ad essi è riconducibile ogni forma dello sperimentalismo moderno che opera per gruppi, avanguardie come amano definirsi. Metafisici, futuristi, cubisti, surrealisti, espressionisti etc. ognuno portatore di una verità, una micropoetica, vivono intensamente e muoiono giovani, età media dieci anni. La cronaca dell’età eroica delle avanguardie è nota. Parigi ne è la capitale, l’alternativa tedesca o russa è presto annichilita dalla nuova pestilenza che devasta l’Europa: l’ideologia. Essa causa l’ultima di una serie di guerre che ripropone, su larga scala e con orrori mai visti, quella fratricida fra Sparta ed Atene. Dalla guerra emergono vincitori comunismo e capitalismo che si contenderanno il mondo fino a che il crollo di uno porterà alla rovina di entrambi.

Il continente diventa terreno di scontro fra i due colossi, nel blocco sovietico chi non è felice del paradiso socialista viene fatto accomodare in Siberia dove a milioni tolgono il disturbo. All’Europa viene così a mancare l’appassionata anima slava che, tesa tra lirismo e desiderio d’assoluto, avrebbe bilanciato il pragmatismo della cultura anglosassone. In compenso abbiamo l’intellettuale organico che si guadagna il pane predicando nei paesi da poco liberati dal nazi-fascismo che l’immaginazione andrà al potere col marxismo-leninismo. Folle osannanti al nuovo vangelo invadono le strade di Francia, Italia e Germania (in Spagna non è aria) mentre l’Inghilterra, che la guerra l’ha vinta davvero, si dà alla musica.
Ma ora c’è l’America al centro della scena, concreta ed energica vorrebbe far coincidere vita ed arte. New York è la nuova capitale artistica e Duchamp, paradosso ad alta tensione intellettuale e fautore dell’egocentrismo assoluto, è il darling delle avanguardie. Jazz, beat generation, spiritualità orientale e cultura europea si fondono in un mix che darà vita ad action painting, espressionismo astratto, pop art, minimal, conceptual, etc. Da questo epicentro emanano le onde sismiche che scuotono la società ed al grido di sex, drugs and rock&roll si compie la prima rivoluzione giovanile.
 Alla caduta del comunismo il capitalismo, che un santo non lo è mai stato, si convince di essere virtuoso e promuove il proprio principio attivo, il denaro, a qualità morale. È un corto circuito che provoca il black out dell’idee e certifica la morte dell’avanguardia. Esaurito il proprio ciclo vitale la salma fornisce le reliquie per liturgie intese ad attirare l’attenzione dei media, indispensabile per l’accesso al paradiso di Stars e Superstars. La filosofia di Warhol “Fare soldi è arte, lavorare è arte e un buon affare è l’arte migliore” ispira Koons “Arte non è farla, arte è venderla” mentre Hirst, troppo preso dal business, affida la decisione sull’arte alle istituzioni “Il mio lavoro è esposto nei musei quindi è arte”. Così, trascurando la funzione dell’arte che ossigena l’umano col divino, svanisce anche il sogno di trasformare la vita in arte.
Ma non disperiamo, in lontananza il brontolio del tuono annuncia l’arrivo delle pioggie che metteranno fine all’aridità della stagione monosessuale e mentre l’ermafrodito dionisapollineo svapora, ridimensionato a descrizione di processi egoici, una figura femminile da tempo negletta si fà avanti, l’Anima! Non l’edulcorata versione  della retorica platonico-cristiana, ma un qualcosa di complesso e potente che saprà farsi valere. A lei si rivolgeva Yves Klein nel quale è vivo, come in Cézanne e, seppur narcisisticamente, in Duchamp lo spirito dei Troubadours. Sgravata dall’obbligo di rappresentazione e libera da incrostazioni socio-culturali l’arte ci guida attraverso una notte che  è  preludio alle  nozze con l’Anima.
Ora il cerchio si chiude, la traversata finisce alla soglia del Mistero in un Cosmo poetico e sacro. La navicella concettuale che ci ha traghettato non può spingersi oltre, abbandoniamola. Oltre la soglia ricomincia il canto.


Athos Ongaro
Gennaio 2009