Monday 24 February 2014

STELLE ROTANTI




Civiltà e cicli culturali si susseguono come le ere geologiche e come alle ere geologiche possiamo dare nomi diversi per distinguerle. Alla nostra ce ne sono diversi che ben si adattano: civiltà Egocentrica, per l’enfasi posta sull’Io, oppure civiltà del Libro, contrapposta a quella della Visione che l’ha preceduta. Su questa, parlo dei Minoici, sarà interessante soffermarsi per vedere se qualche parte del loro DNA ci è stato trasmesso e come.
Creta è posta al centro dell’Egeo e in essa hanno confluito culture provenienti dall’Egitto, Siria-Palestina e penisola Balcanica. La bellezza dell’isola è commovente, la si ama come un’amante. Un viaggio di pochi chilometri dalla costa verso l’interno montuoso ne rivela la completezza di piccolo mondo, dandole tempo  di stimolare in noi quella capacità visionaria che può svelarcela come vivente.
 Non ci sorprenderà, quindi, scoprire che la visione fosse il centro attorno al quale si dispiegava l’universo minoico, i picchi delle montagne e le viscere della terra i luoghi previlegiati di queste epifanie. Nella visione, caduta la barriera tra fisico e metafisico, visibile ed invisibile, il mondo si rivelava come partecipe della natura di entrambi. Quando con la visione cominciò a scemare la pienezza di senso che ne deriva, i Minoici non si rassegnarono e ricorsero al papavero da oppio, coltivato estesamente nell’isola. Alcuni anelli d’oro mostrano personaggi estatici all’apparire di figure provenienti dal cielo o danzanti tra loro in mezzo ai fiori. Chi fossero e quale rapporto avessero coi Minoici lo ignoriamo ma di due possibili attori ci è stato tramandato il nome. Una veniva chiamata Signora del Labirinto, l’altro era conosciuto sotto diversi nomi tra i quali Dioniso.


 È possibile che la prima fosse Creta stessa, e la Terra per estensione, nel suo aspetto di madre, amante e guida in un percorso iniziatico. Col tempo assumerà altri nomi e con Dioniso avrà un ruolo importante nella storia dell’Occidente. Della loro somiglianza con Iside ed Osiride molto si era parlato nell’antichità, ma l’incontro con gli isolani delle Cicladi, avventurosi e indipendenti, modifica la loro natura. L’estatico suonatore d’arpa cicladico rivela, infatti,  che da quelle parti gli uomini si sentivano già Dei, o gli Dei uomini, e le peripezie di Iside e del suo compagno rappresenteranno il viaggio dell’Uomo nel mondo alla scoperta di sè.
Questo fà dellla civiltà Minoica un insieme pulsante e dinamico, pervaso di erotismo e di una grazia ineguagliata, parte di un cosmo vivente ed in costante evoluzione, nel cui mistero l’uomo può addentrarsi sulle orme della coppia esemplare. Ad esso ben si adatta la formula che accomuna Eraclito allo Zen “Uno in tutto e tutto in uno”.
Se l’età del genere umano rispecchia quella dell’individuo Creta è stata la nostra infanzia, per questo Krates ed Aristophanes la ricordano come un luogo incantato, avvolto nella nebbia dorata del mito, dove uomini ed animali dialogavano in amicizia e con ironia.
Ce la siamo goduta, ma niente è per sempre e quando la fine arriva è cataclismica e non lascia dubbi che si tratti della fine di un mondo. La Terra si era fatta sentire anche prima con terremoti frequenti ma questa volta, forse per la magnitudine degli eventi calamitosi, neppure le visioni salvano dall’orrore per la madre ed amante che rivela il suo aspetto nefasto. Traditi da essa ed aggrediti da popoli bellicosi provenienti dalla terraferma i Minoici non hanno la forza di reagire e su loro cala il sipario, l’amato kindergarten chiude i battenti.


Passeranno secoli prima che dal caos che segue emerga un nuovo cosmo; frutto dell’incontro tra i barbari e la civiltà che li ha preceduti i suoi connotati saranno quelli a noi più familiari del mondo greco.
Non tutto della sofisticata realtà Minoica andrà perduto ma l’abbandono alla vita e il senso di appartenenza intima al mondo, saranno sostituiti da una sorta di schizofrenia tattica che estranea ma assicura maggiore autonomia. La fine della comunione col mondo riduce però il flusso dell’Eros e la noia subentra alla pienezza di senso. La scissione si ripete allora nella persona che proiettandosi fuori di sè si guarda vivere ed agire e da questo, paradossalmente, ha inizio una cultura egocentrica.
L’eredità minoica si fa sentire nelle due definizioni che i Greci hanno per vita: bios la vita dei singoli, provvista di identità e soggetta al tempo e zoë la vita nel suo aspetto indifferenziato e libera dal tempo. I Minoici vivevano simbioticamente l’una come manifestazione visibile dell’altra, non così i Greci egocentrici e tormentati da una mancanza ontologica. Nell’ansia di colmare questo vuoto cercheranno di capire l’enigmatico altro da sè che è divenuto il mondo sondandolo con la luce fredda dell’intelligenza analitica ma per i bisogni che questa non può soddisfare saranno attratti dall’antica cultura, seguendone le orme in un cammino di carattere iniziatico che troverà forma nei Misteri. Ciò che è trapelato ne conferma la continuità con l’aspirazione presente da sempre in questa parte del Mediterraneo: l’Uomo-Dio.
Per saperne di più analizziamo la società greca e un primo indizio ci viene da una manifestazione pubblica, di carattere sacro, che celebrava Dioniso: il Teatro. Nato dal ditirambo e dalle processioni falliche si svilupperà nella Tragedia e nella Commedia attraverso le quali si poteva vivere un’esperienza trasformatrice: il partecipante, fuori di sè, s’identificava col Dio che interpretava l’uomo e guardando alla propria vita da una prospettiva diversa ne coglieva la sacralità. 


Anche Eraclito ci aiuta, affermando che La medesima cosa sono Ades e Dioniso per cui impazzano e si sfrenano, ricorda che il Signore dell’Eros che produce la vita è anche Signore della morte. Come Eroe, infatti, è sceso agli inferi ma a differenza degli Eroi ne è tornato, padroneggiando Eros e Thanatos ce li svela come due facce della stessa medaglia.
Durante i festivals religiosi che celebravano l’impresa si apriva un canale tra il mondo dei vivi e quello dei morti mentre la moglie del re d’Atene, indaffarata nei preparativi concernenti una rinascita, riceveva Dioniso col quale si intratteneva in una conversazione estatica e al quale, dicono, si univa carnalmente. Alcuni vasi di ambito dionisiaco alludono maliziosamente all’Eros come chiave d’accesso all’universo del Dio anche se, essendo un segreto religioso, ne ignoriamo gli sviluppi.
Nessuno tra gli Dei riflette l’uomo meglio di Dioniso. Il “Dio Pazzo” nasce immaturo, patisce la morte ma rinasce; la sua complessità e profondità è tale che il presentarlo come Dio del vino fa pensare  ad un vero e proprio depistaggio. Il suo rapporto coi Greci è problematico, dapprima rifiutato come alieno trionferà grazie alle donne nelle quali è forte la capacità visionaria. Con Phebo, invece, il Greco s’identifica con piacere ma dell’altro, più tenebroso, non può fare a meno e la dialettica fra i due favorisce il dispiegarsi di un orizzonte metafisico dove l’intelligenza greca si muove con agilità, spaziando dall’Essere come eterno flusso e divenire di Eraclito, a Parmenide che lo concepisce sempre uguale a sè stesso ed immobile. Tra queste coordinate  navigherà il pensiero occidentale cercando una sintesi tra posizioni che appaiono inconciliabili. Ma la soluzione tarda a venire e la nostalgia per la dimensione perduta si fà sentire, sarà l’arte ad occuparsene svelando nell’oggetto la fragranza dell’Essere e reinstaurandolo nel ruolo che gli è proprio. 
Inizialmente questo assetto è equilibrato, ma col tempo l’Io greco s’identificherà sempre più con l’intelligenza speculativa, ingigantendola a scapito di altri aspetti di sè che confluiranno nella parte sommersa dell’Uomo. La tendenza si radicalizza nella filosofia platonica che divide la realtà fra Idea e Materia, la prima eletta a soggetto domina l’altra degradata ad oggetto, subordinando così la totalità dell’uomo a quell’Io che si riconosce nei processi ideativi che sono, alla superfice, verbali. Questo penalizza l’Eros, esso infatti emana dalla relazione fra due soggetti mentre il rapporto col mondo banalizzato ad oggetto è un’autopsia. 


È ironico che l’allegoria della caverna di Platone descriva così bene l’uomo che, proprio identificandosi con la funzione intellettuale, s’imprigiona nella caverna del cranio percependo solo le ombre della realtà. Realtà che sarebbe avvicinabile unificando erotismo e pensiero, ma la dialettica platonica è sconnessa, svilita una parte alla tesi non corrisponde un’antitesi vitale e la sintesi è malaticcia.
Lascio ad altri l’analisi della pederastia greca, specie nella forma praticata a Sparta dov’era propedeutica all’Areté, l’eccellenza. Interessanti anche le dimensioni del sesso maschile nelle sculture dove è ridotto ad un gingillo decorativo, perchè mai i Greci ne ritenevano elegante la riduzione a dimensioni insignificanti? Alle donne non è poi che andasse meglio, con l’ovvia volontà di ignorare la carnalità ogni traccia di sessualità è mortificata. Che civiltà uscirà da queste premesse? Certamente una così amata da Wienckelmann da spingerlo a “migliorarla”, tanto da giustificare la leggenda che lo vede impegnato nel levigare le sculture classiche su cui può mettere mano, eliminando il colore e sfumando i volumi per confermare la sua teoria che l’arte Classica è in realtà Neoclassica.
Sull’altra sponda del Mediterraneo fa parlare di sè una popolazione Semita installatasi in Palestina previo sterminio degli aborigeni, come da autorizzazione scritta dell’Altissimo. Portatrice di una religione monoteista aspra e fieramente avversa agli idolatri, identificati in coloro che onorano le manifestazioni visibili dell’Essere. Gli Ebrei infatti adorano il Verbo, meglio se scritto nel Libro che registra, oltre alla loro storia, una serie di verità rivelate da Dio tramite visione ad un interlocutore previlegiato. Tra queste significativa quella che chiarisce l’origine della realtà, semplicemente chiamata ad essere dal nulla, perchè sottolinea l’importanza dei processi verbali per questo popolo singolare.
La testimonianza del passaggio da Visione a Libro non è l’unico aspetto interessante di questa cultura, in seno ad essa nascerà, infatti, una nuova religione il Cristianesimo. Molto nel Cristianesimo è di derivazione ebraica ma vi riaffiorano elementi Dionisiaci riguardanti la morte-rinascita, resa possibile dal figlio di Dio che per amore dell’uomo si incarna espiandone sulla croce il peccato originale, in dubbio quelli successivi. La nuova religione non solo parla d’amore ma lo pone al disopra dell’ortodossia ebraica e il fondatore, in accordo col destino scelto, pagherà con la vita quest’audacia.


In Italia sono attivi da tempo gli Etruschi e se fin troppo si è scritto sull’influenza di Ellenismo ed Ebraismo nella formazione dello spirito europeo, non si è riflettuto abbastanza sul nostro debito verso quel popolo misterioso. Circondati da una atmosfera sulfurea gli Etruschi sono di casa nell’arcano, maturi e virili sanno che forze immani e spesso ostili sovrastano l’uomo ma, pur intimoriti, non cedono e non si affidano agli Dei, forse perchè non li ritengono sufficentemente reali. Risuona tra loro la nota di fondo dei metafisici: la consapevolezza, nelle cose, della tensione fra l’essere e il nulla. Mi piace pensarli là in alto nelle città ventose osservare la pianura sottostante, i campi coltivati e la selva primordiale che ancora copre tanta parte d’Italia, mentre riflettono sul modo migliore per sfidare gli Dei. Non allo sprint no, in quello sono imbattibili, i Greci che di talento ne avevano c’hanno provato... bruciati, e non si sono mai più ripresi! Piuttosto una sfida di lunga durata visto che hanno un’arma segreta, metabolizzano il dolore e lo trasformano in propellente. Torneremo a parlarne, per ora limitiamoci a registrarne l’influsso sulle tribù locali che porterà Roma ad accogliere l’eredità di Atene.
Beh, Atene non è più quella di una volta e gli artisti se ne vanno, portando in ogni angolo dell’impero romano se non la freschezza creativa, almeno un’eccellenza esecutiva impareggiabile e i signori del mondo se ne circondano per goderne nei momenti di ozio. Anche il Cristianesimo punta su Roma, dove il suo carattere pastorale verrà arricchito dall’idealismo platonico compatibile col substrato ebraico, entrambi infatti subordinano la realtà sensibile a quella ideale. L’arte non ne trae gran beneficio ma, insomma, salviamo il mestiere che il resto verrà.
E verrà, infatti, da Bisanzio dove lo spendore orientale straripa nell’opulenza di mosaici deliranti che si emancipano dall’ambito pedonale lanciandosi alla conquista di spazi aerei, un mondo di materia rivelata nel suo aspetto erotico, puro Eros solidificato e fattosi colore. E se di Bisanzio niente o quasi è rimasto, una visita a Ravenna convincerà gli increduli, basta alzare gli occhi al cielo per essere inondati dallo splendore della Terra, alla faccia di Plato e del bello ideale! Il mondo antico celebra la propria fine nella formidabile conflagrazione musiva bizantina, proiettando il plasma incandescente che accrescerà la nuova stella, il Cristianesimo, dotandola di una vitalità e qualità terrigna ignota agli estenuati virtuosismi ellenistici.
Certo non tutto fila liscio perchè se l’animo greco, curioso e avido di conoscenza, aveva sfornato le ipotesi più disparate su ogni genere di problema, adesso le cose cambiano. Con Dioniso relegato agli inferi, dove non si trova male, e i Misteri degradati a curiosità etnico-sessuale il terreno è sgombro e la Chiesa si pone tra la naturale curiosità dell’uomo e il mondo imponendo il suo sistema interpretativo: una serie di “verità” difese da dogmi. Se Plato avesse usato la colpa come pietra angolare del suo edificio metafisico, gli Ateniesi l’avrebbero fatto rinchiudere ma il Cristianesimo compie il miracolo e l’Uomo, approssimazione miserabile di perfezioni iperuraniche, si china ed accetta il carico. La colpa comporta sanzioni e se quella originale, oscurata da un’inspiegabile amnesia ed espiata dal Salvatore, è in dubbio quelle che seguono scatenano i fulmini della Chiesa e con assoluzioni ed indulgenze serviranno a controllare quell’animale riottoso che è l’Uomo. 


L’impero romano finalmente crolla, per la gioia di coloro che detestano i signori del mondo, ma non crolla il Cristianesimo che guadagna posizioni concedendo agli ambiziosi, sufficentemente abili da emergere, l’approvazione divina ed ottendo in cambio le anime. Dissentire sarà pericoloso come scopriranno Giordano Bruno ed altri, chi si cura delle anime infatti difende coi denti un’ortodossia che assicura ampi privilegi tra i quali supremo, secondo alcuni, il piacere di violare la volontà altrui.
Nel periodo che segue l’arte perde entusiasmo forse perchè la Chiesa è un cliente difficile, soggetta com’è a periodiche crisi d’identità. La disputa tra Icono­clasti e Iconofili, pur nella sua ferocia, è solo l’aspetto superficiale del vero scontro, quello tra Realtà ed Astrazione. Per secoli la lotta divamperà furibonda tra chi sostiene che la mortificazione della realtà sensibile corrisponda alla virtù e coloro che vivono detta realtà come manifestazione poetica dell’Essere, al quale sentono di appartenere per diritto di nascita. L’astrazione andrebbe usata come il sale in cucina, un pizzico esalta i sapori, troppo li distrugge, ma disdegnando la gastronomia e non trovando una sintesi il Cristianesimo cercherà di salvare capra e cavoli, un bello stress. Alla fine gli Iconofili la spuntano ma l’influenza degli sconfitti invecchia e restringe le arterie poetiche e l’arte bizantina, dissecata e irrigidita in uno stile minerale, è ormai una foglia morta che il vento spazzerà via.
Vento che soffia vigoroso quando lo spirito Etrusco riaffiora in quella terra che li ha visti vivere e ne conserva, nelle proprie viscere, la memoria. Esso anima l’opera di Donatello e Masaccio dove appare un Uomo nuovo, fatto anche di carne e più complesso, è l’inizio dell’Umanesimo ragion d’essere del Rinascimento. L’entusiasmo è grande ma la strada sarà lunga perchè l’Uomo nuovo va costruito consapevolmente, atomo per atomo e il tentativo del vecchio, rigenerarsi con un bagnetto ellenistico e spacciarsi per nuovo, porterà ad un’overdose di platonismo. Ho poca simpatia per Michelangelo, campione della restaurazione contrabbandata per rinascita, altro è il sogno occidentale, altri gli artisti che rinfrescano il cuore avvincendosi alla sostanza in un Tango così erotico da infondere vita anche ai temi deprimenti prediletti dal committente. Negare il mondo esaltandone l’Eros risveglia qualche sospetto ma la Chiesa, saggiamente, finge di non vedere.


Da Firenze il Rinascimento si estenderà al resto del continente segnando la nascita, grazie al demone dell’arte, dello spirito europeo. Spirito europeo che è congegnato come una di quelle aspirine per chi ha lo stomaco debole, il rivestimento ebreo-platonico è dolce al palato cristiano mentre il principio attivo all’interno, che corrode gli Dei per aumentare l’Uomo, è Etrusco.  Il Logos prende casa a Firenze, l’Eros preferisce Venezia, difficile farli stare assieme ma gli artisti ci provano, come dimostra la formula attribuita a Tintoretto – disegno di Michelangelo e colore di Tiziano – ma fondamentale non è l’eccellenza di musica e libretto, ma che collaborino per svelarci che la natura del mondo è poetica, come accade nelle sculture policrome di Valdambrino e Jacopo della Quercia.
Ma non facciamo i difficili che tra Firenze e Venezia impazza la festa dell’arte, il miele cola dai favi e l’anima in piena della doviziosa Italia straripa inondando l’Europa. Questa è vita! L’alluvione feconda i giardini europei e i frutti non tarderanno a venire, contribuendo a spegnere i roghi dell’Inquisizione ed accendere il secolo dei Lumi. Ciò che era stato negato a Galileo sarà permesso a Newton e gli altri Illuministi. L’Uomo finalmente può dedicarsi alla scoperta di sè e del mondo, affinando strumenti razionali per verificare che le proprie ipotesi siano confermate da esperimenti e misurazioni.
Lo spettacolo può cominciare! I cinquant’anni a cavallo tra Ottocento e Novecento sono epici, Nietzche e Strindberg martellano ai fianchi Filosofia e Cristianesimo, Freud e Jung scoprono l’Atlantide misteriosa che giace sotto il livello della coscienza e ne avviano l’esplorazione. Einstein crea il finimondo, dopo lui Tempo e Spazio non saranno più gli stessi, mentre il pacchetto di mischia della fisica quantistica azzarda idee vertiginose su vuoto, materia e numero delle dimensioni.
Questa volta si fà sul serio ed il software ebreo-platonico sottoposto ad un attacco senza precedenti comincia a dar di matto. L’arte riflette l’angoscia per un mondo che si sgretola ma è attiva nell’impiantare le palafitte della nuova Venezia. Il saggio “Universo di morte” dello scrittore Henry Miller, di cui traduco i punti salienti, ci porta dritti al cuore del problema. 


...Scegliendo Proust e Joyce ho scelto due figure letterarie che mi sembrano le più rappresentative del nostro tempo...
Sono degli sconfitti, uomini che fuggono da una crudele, odiosa realtà nell’arte...
Prodotti ultracivilizzati li troviamo rifiutare ogni questione dell’anima, scettici della scienza stessa...
Questa formidabile rappresentazione del mondo come malattia che Proust e Joyce ci hanno dato...
Joyce è in rivolta non contro le istituzioni, ma contro l’umanità...
Quella disintegrazione dell’io che era presente nell’Ulisse è ora portata al limite estremo e corrisponde fedelmente alla disintegrazione del mondo esterno, abbiamo qui il più bell’esempio di schizofrenia, la dissoluzione del macrocosmo va mano nella mano con la dissoluzione dell’anima...
Idolatrare l’arte per sé stessa, non per l’uomo. Arte in altri termini vista come uno strumento di salvezza, come redenzione dalla sofferenza, una compensazione per il terrore di vivere. Arte come un sostituto alla vita...
Proust è più capace nel presentare l’aspetto metafisico delle cose, in parte grazie ad una tradizione così radicata nella cultura mediterranea...
Attraverso quei veri passaggi estatici nell’ultimo volume della sua opera, passi sulla funzione e il ruolo dell’artista, Proust finalmente raggiunge una chiarezza di visione che fa presagire la fine del suo metodo stesso e la nascita di un tipo d’artista interamente nuovo…
Proprio come i fisici esplorando la natura materiale dell’universo sono giunti alla soglia di un nuovo misterioso reame, così Proust...

Ma ecco il pensiero di Proust sull’arte:

 ...la verità era che sicuramente l’Essere in me ha goduto queste impressioni perchè in sè queste impressioni, avendo qualcosa in comune con un giorno da molto tempo passato con il momento presente, in qualche modo sono extratemporali e questo Essere in me fa la sua apparizione solo quando, attraverso queste identificazioni del presente col passato, si trova nel solo ed unico medium in cui può esistere e gioire l’essenza delle cose, vale a dire fuori dal tempo...
Un minuto liberato dalla legge del tempo ha ricreato in noi l’uomo liberato dal tempo...
...ed è comprensibile che quest‘uomo creda alla sua gioia perchè il fenomeno “morte” perde il suo significato, collocandosi fuori del tempo perchè dovrebbe temere il futuro?
...frammenti di esistenza riscattati dal tempo! Questo il vero e genuino piacere che si prova, anche se è fuggevole, a contemplare l’eternità...
...ci appartiene solo ciò che strappiamo all’oscurità che è in noi...
...si arriva quindi alla conclusione che nella realizzazione di un lavoro d’arte non siamo liberi, non possiamo scegliere come farlo perchè ci preesiste e di conseguenza, dato che è necessario e nascosto, dobbiamo fare ciò che dobbiamo fare come fosse una legge di natura vale a dire scoprirlo. Ma questa scoperta che l’arte ci obbliga a fare, nonostante rimanga di regola celata, non è forse la scoperta della nostra stessa vita?
...le varie teorie artistiche non devono farci perdere di vista la realtà che l’arte deve esprimere non la superfice degli oggetti, per quella va bene la fotografia, ma quella profondità dove l’apparenza conta poco...
...un’ora non è solo un’ora ma un vaso pieno di vari progetti ed atmosfere e quello che chiamiamo realtà è il collegamento tra queste sensazioni immediate e le memorie che ci avviluppano, questo collegamento è soppresso dal cinema come dalla fotografia che proprio perchè dichiara di attenersi alla realtà in effetti se ne separa.


La teoria proustiana dell’arte è superba e c’è dell’altro che Miller, troppo vicino, non vede. In astrofisica due stelle di neutroni rotanti in orbita fissa l’una attorno all’altra vengono definite un sistema binario, Proust e Joyce formano un sistema binario proprio come Cézanne e Duchamp. Così ho analizzato l’opera di Duchamp in ”Breve storia dell’arte”:

Che è moderno si capisce subito perchè ha fretta, non ha tempo da perdere e per arrivare all'arte prende una scorciatoia che taglia fuori il mestiere. Confortato dal parere di Leonardo, che di mestiere ne aveva da vendere, dichiara che l'arte è cosa mentale e cerca di darle scacco matto nella maniera che sappiamo. Roba che uno pensa – Beh questo è andato, vedrai che lo rinchiudono – e invece no, se ne va a New York che in attesa di diventare la nuova Roma è la capitale dello egocentrismo e diventa il beniamino della borghesia ricca e cosmopolita.
È chiaro che sotto l'aspetto demenziale e provocatorio si nasconde ben altro: una tesi proposta come un dilemma e basata sull'assunto che il nominare produca l'essere rendendo così obsoleto il fare. ll dilemma è se debba essere l'arte a decidere chi siamo o noi a decidere cosa sia l'arte. Ma il nominare non produce l'essere, il giochetto riesce solo a Yahveh, e suggerendo che è in nostro potere decidere ci fa una proposta meliflua che solletica il nostro desiderio di libertà, assume il ruolo del Tentatore lusingandoci con l'offerta di diventare i re del mondo senza fatica.
Troppo facile per essere vero e nell'arte il fare è il punto d'incontro tra le possibilità della materia e i desideri della mente e non è possibile evitarlo ingigantendo la funzione intellettuale, il mestiere lungi dall'essere limite od ostacolo è un vero toccasana che disciplina la mente, la salva dai deliri d'onnipotenza e la invera.


Con intelligenza luciferina Duchamp riassume e  conclude in un algoritmo fulminante l’ontologia ebreo-platonica svelandone la sterilità da ermafrodito. A questa cercherà rimedio nella copula blasfema e struggente con Rrose Sélavy  e dall’unione nascerà il conturbante  Étant donnés. Di quest’opera raggelante si può dire che fosse implicita nel Partenone.
Ma eccoci a Cézanne: secondo Manet – un muratore che dipinge con la cazzuola – è invece un titano il cui sguardo abissale, immergendosi nella materia, frantuma l’ideale platonico in una complessità che sarà indagata dagli artisti che seguiranno. Il suo universo, come quello della fisica quantistica, è un campo di forza le cui diverse vibrazioni formano i singoli eventi. Riconoscendo nell’Eros il “pacchetto d’energia” base della realtà e disciplinandolo, si concentra sulla funzione più intima dell’arte: sintonizzare l’Eros individuale su quello cosmico. L’aspetto mimetico della pittura lo interessa poco, ogni pennellata costruisce un piano, un volume e la modulazione di questa complessità, attraverso il colore, sprigiona una radianza che fà del quadro una singolarità che genera il proprio spazio-tempo. Il suo programma è rifare Poussin sulla natura, a quella natura a cui Watteau guardava con tenerezza infinita egli vuol dar permanenza, irrorandone le strutture con il colore saturo di pathos che eredita dall’amato Tintoretto. 
L’intreccio così serrato da risultare claustrofobico lo induce, da ultimo, a cercare con scansioni di tela nuda il respiro necessario, introducendo nella meditazione pittorica sull’Essere il vuoto come componente rinfrescante. Con una pittura radioattiva questo “muratore” pone le fondamenta di una nuova ontologia. Tanto lucida è la sua riflessione  che non gli sfugge certo la perdita del contorno... il contorno! Ovvero quella linea che definisce l’identità.
È questa la funzione di Duchamp e Joyce: assicurare la presenza dell’Io, foss’anche in forma stravagante e bislacca, completando l’ascesa dal Tempo all’Essere con la discesa dell’Essere nel Tempo. E se la prima dovrebbe liberarci dal timore della morte, la seconda si spera rilanci il gusto della vita. Artisti complementari, dunque, perchè gli uni senza gli altri rischiano: Cézanne e Proust il dissolversi nell’iperurano platonico, Joyce e Duchamp di naufragare sulle scogliere di Circe con l’inevitabile trasformazione in suini.


Ad essi è riconducibile ogni forma dello sperimentalismo moderno che opera per gruppi, avanguardie come amano definirsi. Metafisici, futuristi, cubisti, surrealisti, espressionisti etc. ognuno portatore di una verità, una micropoetica, vivono intensamente e muoiono giovani, età media dieci anni. La cronaca dell’età eroica delle avanguardie è nota. Parigi ne è la capitale, l’alternativa tedesca o russa è presto annichilita dalla nuova pestilenza che devasta l’Europa: l’ideologia. Essa causa l’ultima di una serie di guerre che ripropone, su larga scala e con orrori mai visti, quella fratricida fra Sparta ed Atene. Dalla guerra emergono vincitori comunismo e capitalismo che si contenderanno il mondo fino a che il crollo di uno porterà alla rovina di entrambi.

Il continente diventa terreno di scontro fra i due colossi, nel blocco sovietico chi non è felice del paradiso socialista viene fatto accomodare in Siberia dove a milioni tolgono il disturbo. All’Europa viene così a mancare l’appassionata anima slava che, tesa tra lirismo e desiderio d’assoluto, avrebbe bilanciato il pragmatismo della cultura anglosassone. In compenso abbiamo l’intellettuale organico che si guadagna il pane predicando nei paesi da poco liberati dal nazi-fascismo che l’immaginazione andrà al potere col marxismo-leninismo. Folle osannanti al nuovo vangelo invadono le strade di Francia, Italia e Germania (in Spagna non è aria) mentre l’Inghilterra, che la guerra l’ha vinta davvero, si dà alla musica.
Ma ora c’è l’America al centro della scena, concreta ed energica vorrebbe far coincidere vita ed arte. New York è la nuova capitale artistica e Duchamp, paradosso ad alta tensione intellettuale e fautore dell’egocentrismo assoluto, è il darling delle avanguardie. Jazz, beat generation, spiritualità orientale e cultura europea si fondono in un mix che darà vita ad action painting, espressionismo astratto, pop art, minimal, conceptual, etc. Da questo epicentro emanano le onde sismiche che scuotono la società ed al grido di sex, drugs and rock&roll si compie la prima rivoluzione giovanile.
 Alla caduta del comunismo il capitalismo, che un santo non lo è mai stato, si convince di essere virtuoso e promuove il proprio principio attivo, il denaro, a qualità morale. È un corto circuito che provoca il black out dell’idee e certifica la morte dell’avanguardia. Esaurito il proprio ciclo vitale la salma fornisce le reliquie per liturgie intese ad attirare l’attenzione dei media, indispensabile per l’accesso al paradiso di Stars e Superstars. La filosofia di Warhol “Fare soldi è arte, lavorare è arte e un buon affare è l’arte migliore” ispira Koons “Arte non è farla, arte è venderla” mentre Hirst, troppo preso dal business, affida la decisione sull’arte alle istituzioni “Il mio lavoro è esposto nei musei quindi è arte”. Così, trascurando la funzione dell’arte che ossigena l’umano col divino, svanisce anche il sogno di trasformare la vita in arte.
Ma non disperiamo, in lontananza il brontolio del tuono annuncia l’arrivo delle pioggie che metteranno fine all’aridità della stagione monosessuale e mentre l’ermafrodito dionisapollineo svapora, ridimensionato a descrizione di processi egoici, una figura femminile da tempo negletta si fà avanti, l’Anima! Non l’edulcorata versione  della retorica platonico-cristiana, ma un qualcosa di complesso e potente che saprà farsi valere. A lei si rivolgeva Yves Klein nel quale è vivo, come in Cézanne e, seppur narcisisticamente, in Duchamp lo spirito dei Troubadours. Sgravata dall’obbligo di rappresentazione e libera da incrostazioni socio-culturali l’arte ci guida attraverso una notte che  è  preludio alle  nozze con l’Anima.
Ora il cerchio si chiude, la traversata finisce alla soglia del Mistero in un Cosmo poetico e sacro. La navicella concettuale che ci ha traghettato non può spingersi oltre, abbandoniamola. Oltre la soglia ricomincia il canto.


Athos Ongaro
Gennaio 2009