Wednesday 19 November 2014

MARCO SENALDI: SETTE DOMANDE PER ATHOS ONGARO

Santorini II, 2000, olio su tela, 190x146 cm

Senaldi: Caro Athos, quando guardo le tue opere non so proprio cosa pensare. Per prima cosa mi dico: ma perché sei passato dalla scultura alla pittura? Poi mi ridomando: ma sarai mai passato dalla scultura alla pittura – oppure hai sempre fatto pittura, e forse invece oggi fai collage di paesaggi cosmici e di personaggi dei cartoons ?

Ongaro: Ho smesso perchè ho esaurito quello che dovevo fare con la scultura e, visto che il mio lavoro se la vede con morte e rinascita, ne ho approfittato per sperimentare sia l'una che l'altra. Per spiegarmi meglio, penso che ci troviamo tra la fine della cultura classica e una nuova visione della realtà. L'inizio risale ai Trovatori e al Rinascimento italiano, ma allora la fioritura è stata bruciata da una gelata neoplatonica ed ora procediamo con cautela. La crisi del nostro Paese, lo sgretolarsi della sua cultura e la disfatta della democrazia sono sintomi della stessa morte iniziatica attraverso la quale, volontariamente, sono passato come artista. Dico morte iniziatica perchè prevede una nascita dalla morte. E' probabile che i "virtuosi" che gongolano davanti al cataclisma che ci ha investito avranno presto delle sorprese.  

Senaldi: Duchamp nelle sue Note al Grande Vetro dice da qualche parte che la quarta dimensione esiste; è come “sentire” un oggetto tridimensionale da tutti i lati contemporaneamente, “come quando si tiene un coltello in mano”. Ho letto molti commenti a questa nota, ma nessuno mai che citasse Cézanne quando dice che “bisognerebbe dipingere una mela come se la si tenesse in mano”. Non è un po’ la stessa cosa? te lo dico sapendo che Cézanne è tra i tuoi favoriti… che ne pensi?

Ongaro: Mi sembra la stessa cosa. Penso che Duchamp fosse, almeno in parte, consapevole che l'arte moderna mira alla ri-conquista di una dimensione situata oltre il tempo lineare. Forse non aveva capito che quello era il senso del lavoro di Cezanne e del Vèrlaine di "quando ri-fioriranno le rose di settembre".
 A quanto pare la cultura francese si è assunta questo compito fin dal Rococò! Il nome è demenziale ma la luce danzante nella pittura di Watteau cattura la più piccola unità di tempo e la rivela come sostanza erotica, un campo estatico generato da un dipolo femminile e maschile. Watteau è il preludio al Rinascimento, o forse sarebbe meglio dire pre-rinascimento francese, nel quale Cezanne ha un ruolo simile a quello di Giotto in quello italiano. In entrambi l’accento è su una sostanza erotica che Cezanne struttura con vigorosa lucidità cartesiana ottenendo una estensione dell'attimo di Watteu, il suo attimo comincia un poco prima e finisce un po' dopo. Con le sue intuizioni su spazio e sostanza precede e si spinge più lontano delle scoperte di Einstein e della fisica quantisca. Nei suoi quadri, per la prima volta nella storia dell'arte, si assiste al fenomeno di una qualità poetica così concentrata da generare una gravità che modifica lo spazio-tempo. Questo è il senso di quelle che, superficialmente, sono lette come deformazioni dovute ad imperizia. Val la pena ripeterlo: l'alto peso specifico della sua poetica causa una dilatazione nella struttura dello spazio-tempo. E c'è dell'altro perchè nella fase successiva si spinge fino alla esplorazione del vuoto che, in tempi molto più recenti, la fisica quantistica ha scandagliato formulando ipotesi affascinanti. 
Quanto a Duchamp, lui è tutto testa, intelligenza feroce ma lirismo zero. E' monocolo, ma l’unico occhio è ai raggi X e vede in profondità nel tessuto culturale. Un caso clinico? Forse... ma se lo è la nostra civiltà è un caso clinico, lui non fa che mostrarla nuda come mamma l’ha fatta. La radiografia è chiara, la diagnosi certa: è un ermafrodito sterile! Sardonicamente, prova a metterci una pezza con Rrose Sèlavy ma il frutto dell’incesto (Etànt donnès) è un incubo che invita agli scongiuri. Condivido la sua difesa del principio di Identità e il potenziamento di un Io problematico e ostinato che si prepara ad affrontare il monolito del Tempo.

Senaldi: Dicono che sei un irregolare, un nomade dell’arte, un giramondo… ma non era meglio accasarsi, mettersi il cuore in pace e far parte di uno dei tanti club artistici alla moda? Non hai almeno un piccolo rimpianto di una carriera tranquilla, onorata e prevedibile al seguito di qualche bel carro trainante?

Ongaro: Carri, carrette e carriole non mi interessano, quanto ai club artistici mi viene in mente cosa ne pensava Luciano Fabro che li definiva i "cornuti dell'arte moderna". Confesso di non capire come facciano tanti colleghi a ripetere la stessa filastrocca per tutta la vita. Deve essere che l'arte è una merce rara, inversamente proporzionale al numero degli artisti in circolazione. Per quanto mi riguarda forse tutto dipende dal fatto che non sopporto la noia. In altri tempi sarei stato un avventuriero, oggi l'avventura che mi affascina è quella intellettuale che di solito si concilia male con una carriera onorata e tranquilla. Oltre che irregolare, nomade dell'arte, giramondo, mi hanno dato dell'aborigeno. Devo dire che questa definizione mi calza a pennello perchè ho la sensazione che ciò che cerco sia stato con noi fin dall'inizio, ab-origine.

Senaldi: Nelle tue prime opere eri quasi un minimalista imprevedibile; poi sei passato a una scultura classica con tanto di marmo bianco statuario; poi sei transitato per un monumentalismo policromo e magari intarsiato di mosaico; e dopo ancora ti sei lanciato in grandi quadri a olio su tela… Ma come? Mi rimani pur sempre nel repertorio classico…. Forse sei un neo-classicista?

Ongaro: Credo proprio di no anche se l'idea di un aborigeno neo-classico mi diverte molto. Il mio lavoro se la vede col Contrappunto, nel senso inteso dalla musica barocca, vale a dire la relazione tra voci armonicamente interdipendenti ma indipendenti in ritmo e colore. Tra l'altro credo sia questo il modo di fare arte d'avanguardia oggi, non più micropoetiche ma la loro configurazione in una nuova complessità. La complessità è alla base del mio lavoro non la sintesi, certamente non quella tesa ad una idealizzazione che è fondamentale per il modo d'essere neoclassico. Ma se è agli strumenti che ti riferisci, e il vero problema dell'arte è il rapporto col Tempo, allora gli strumenti più efficaci rimangono pittura e scultura. Quelli nuovi, video, films, foto etc. sono a questo riguardo impotenti perchè ciò che registrano è, inevitabilmente, già passato. A quando una riflessione sulla differenza tra pittura e immagine?

Senaldi: Certi personaggi che ci hai fatto vedere, lo scimmiato , la dolce Sara, un Cristo con tanto di lingua fuori, un poeta contadino che sembra uscito da un pezzo di cabaret meneghino degli anni ’70 – sono certamente dei simboli, ma di che cosa? Athos, cosa ci vuoi dire? O forse non vuoi dire niente, sei come un Murillo, un Pitocchetto dei giorni nostri? Ma allora, per tanto così, non bastava un iperrealista qualsiasi?

Ongaro: Ma dai, non sono un Murillo, che pure trovo delizioso, e neppure un Pitocchetto, tantomeno un iperrealista. Le sculture di cui parli, "Flasher" in testa, rappresentano degli oltresociali, personaggi sovversivi che una carica dirompente catapulta fuori del sociale e in quanto tali semmai esemplari, non simbolici.

Senaldi: Hai scritto che “… la funzione più intima dell’arte [è] sintonizzare l’Eros individuale su quello cosmico”… mi dici che cosa significa? Io non sono convinto che esista un Eros cosmico – e se invece nel cosmo ci attendesse solo un lunghissimo raffreddore entropico…?

Ongaro: Voglio dire che la nostra macchina percettiva ha bisogno di essere messa a punto per stare alla pari con l'accresciuta consapevolezza che abbiamo del Cosmo che è un qualcosa di vivente, quindi erotico, enormemente più complesso del segmento che abbiamo colonizzato. A volte mi sono chiesto se per caso non stessi producendo aspirine per la cura del raffreddore entropico. Minchia, sarebbe una bella fregatura visto che il suo mercato è in crisi da quando la fisica quantistica ha messo in dubbio anche l'entropia.

Senaldi: E l’Arte… – insomma, seriamente, perché la si fa, dove dovrebbe portare? Ho letto ieri che un manager (il figlio di un ministro, ndr) ha guadagnato in un anno 5,5 milioni di euro – se fai il calcolo sono circa 15mila euro al giorno, domeniche incluse – non è che abbiamo sbagliato qualcosa? Non aveva ragione Dalì a dire che il denaro, anzi l’oro, era davvero il segreto alchemico anche dell’arte?

Ongaro: Anche se dietro le dichiarazioni di alcune superstars anglosassoni si intravede un elettroencefalogramma piatto, ha sparato piu cazzate Dalì che Warhol, Koons e Hirst messi assieme! La risposta è: alla conquista del Tempo, chiamata anche conquista del Sacro e per questo da noi laici frettolosamente rifiutata. Ma al problema del Tempo non si sfugge. Ad esso dobbiamo una crisi ricorrente originata dalla sua scomposizione in Essere e Divenire e, tra l'altro, la disputa fra il desiderio di assoluto degli iconoclasti e la difesa della complessità degli iconofili. Se qualcuno pensa che queste crisi appartengano al passato si sbaglia perchè, guarda caso, siamo nel bel mezzo di una, diversa solo perchè gli iconoclasti usano la maschera del denaro per annullare le identità in un assoluto energetico. Siamo sicuri che il denaro sia una qualità morale? E, visto che da Duchamp in poi la decisione su cosa sia l'arte sembra, almeno in parte, essere nelle nostre mani, siamo certi che sia questa l'arte che vogliamo?  
E a proposito di quattrini bisogna dire che siamo stati dei coglioni a menarcela con le chitarrine e "sex & drugs and rock'n'roll" mentre i "trentamila dominanti" delle varie City, con la complicità del sistema politico e dei Media si impadronivano del pianeta devastandolo e riducendoci al ruolo di servi della gleba.

                                                       Painter, 2008, olio su tela, 230x200 cm